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Ambito di Ricerca:Alimenti e prodotti locali
   
SAPORI DI PIATTI ALIESI_1
 

 

 

" Li tagghiarini cu lu ragù d'ova"

 



Alia, ridente paesino adagiato sul pendio di una montagna, cinto da verdi declivi, sorprende per le stradine ripide e panoramiche, per le sue preziosità  ben custodite o per le arcane Grotte della Gurfa, la cui suggestione rimane immutata. Alia conserva nello scrigno della memoria anche una tradizione gastronomica, costituita da una cucina semplice e popolare, e, al giorno d'oggi, che le tendenze della buona tavola privilegiano piatti genuini, non c'è di meglio che ritrovarsi ad Alia in casa di amici a gustare appetitose pietanze dei nostri antenati non ignorando, però, gli altri elementi di richiamo turistico e culturale.

Nel repertorio culinario aliese si accavallano tante ricette a base di uova, alimento ricco di proteine, vitamine e ferro, a cui sono dedicati piatti internazionali. come le omelettes e le crepes. Questi piccoli tesori racchiusi in un guscio anche per la massaia aliese costituiscono un patrimonio inesauribile di idee, soprattutto della tradizione.

Quando in paese abbondano le uova dal buon sapore campestre, tante donne con poca spesa e fatica preparano li tagghiarini fatti in casa cu lu ragù d'ova ed è come voler recuperare il gusto dell'infanzia nell'essenza di questo coloratissimo e succulento piatto.

Si lessano le uova, uno a testa in acqua salata per dieci minuti da quando si alza il bollore. Si raffreddano sotto l'acqua e si liberano dal guscio. Si lasciano intere e, dopo una veloce rosolatura, si ripongono a cuocere e insaporire per almeno dieci minuti nel tegame dove è già  pronto il sugo di pomodoro. Si scolano le tagliatelle al dente e si versano in un vassoio. Si condiscono con la salsa e con abbondante pecorino grattugiato. Infine si guarniscono, se si vuole, con le uova per farne un'unica portata, originale nella sua incredibile semplicità  . Ricetta tutta paesana da tenere cara, perchè per poter gustare nei ristoranti certe rielaborazioni di piatti caserecci, bisogna pagare prezzi assai esosi.

Ideale d'estate, ricetta spicciativa. Perchè non preparare e assaporare li tagghiarini cu lu ragù d'ova, vanto della cucina aliese e sicuro figurone per la padrona di casa?

E buon appetito.

Lena Cook

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pubblicato in "La VOCE" di Alia, nr.1/15, pag. 16


 

 

'A pasta cu la frittedda


La pasta "cu la frittedda" è un tradizionale e noto piatto della cucina aliese. Ricetta popolarissima, ma che risale a parecchio tempo fa, quando le fave erano largamente coltivate in tutto il meridione e le abitudini gastronomiche erano volte a privilegiare le risorse del territorio.

Anche oggi, nelle nostre campagne, si vedono, in primavera, lunghe e verdi distese di queste papilionacee (questo il loro nome scientifico), dal voluminoso baccello, dalle foglioline carnose e fiori bianchi. La parte commestibile, per noi aliesi, è il seme di forma ovale, contenuto nel frutto, mentre, per esempio, nella provincia di Messina, viene cucinato anche l'involucro. Le lontane origini e la loro coltivazione fanno delle fave una grande presenza sulla tavola degli aliesi, mentre non è facile ritrovarle nei menù dei ristoranti.

Di questo semplice piatto, trionfo del gusto e del sapore, solo gli aliesi ne sanno qualcosa, perchè in altre parti dell'Isola chiamano "frittedda" le fave cotte insieme con carciofi e piselli. Tale miscuglio fa perdere al legume il caratteristico sapore. Hanno ragione, quindi, i nostri anziani nel sostenere che la frittedda si prepara con l'aggiunta soltanto di qualche finocchietto e "cipolletta" che servono a esaltarne il suo antico sapore.

Il segreto della riuscita di questa pietanza, tra le più gradite della primavera, è la freschezza degli ingredienti appena colti nell' orto. Le fave devono essere piccole e tenere. Sgranate e pulite le fave della buccia esterna, si sciacquano con cura, Si scolano leggermente e si trasferiscono in un tegame, aggiungendo in ordine successivo la "cipolletta" tritata, il finocchietto selvatico a pezzettini, sale, pepe nero e abbondante "olio di casa". Si fanno cuocere (quasi friggere) sul fuoco vivace, mettendo un coperchio a misura, per pochi minuti, perchè possano mantenere il bel colore verde.
Quando le fave cominciano a emanare un buon profumo, guai a mescolarle col cucchiaio, ma si scuote il tegame, sorreggendolo coni due manici per fare rigirare su se stesse le fave in modo che quelle che stanno sotto passano sopra e si cuociono. Ancora qualche minuto e la "frittedda" è pronta. A questo punto si sà che si può rimestarle col cucchiaio di legno o di acciaio.

Cotti al dente gli spaghetti, spezzettati, si scolano sommariamente e si versano nel tegame, facendo insaporire il tutto per qualche minuto e rimestando col cucchiaio. La minestra, ricca di sapore, odore, colore, è pronta per essere servita.

Lena Cook
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pubblicato in "La VOCE" di Alia, nr.2/06, pag.14

 


Cavatieddi e maccarrùna

Tipicamente aliesi sono "cavatieddi e maccarrùna", ne sanno parlare un pò tutti in paese. Arricchiti di gustosi condimenti, sono conosciuti in varie parti dell'Isola, ma "cunzati cu l'astrattu" sono nati ad Alia, asseriscono gli anziani del luogo. A detta di alcuni studiosi, i Siciliani fin dal Medioevo furono chiamati "mangiamaccarrùna", secondo altri, furono anche gli inventori della pasta e di strumenti empirici per la sua fattura e nella fattispecie di "busi, ferri di paracqua e fili di juncu" con i quali la massaia alisa si aiutava per lavorare la pasta. La pasta fatta in casa, col sopraggiungere della civiltà  industriale era stata bandita dalle nostre moderne cucine, poichè anche la donna di Lalia voleva sentirsi emancipata e raffinata, servendo con fierezza il "prodotto" industriale.

Da un pò di anni, invece, poichè si tende al recupero e al mantenimento delle tradizioni contadine, la pasta di casa è stata pienamente rivalutata e succede spesso di ammirare sulle mense "di li nostri paisani, spirlonga di cavatieddi e maccarrùna" col sugo, che vengono accolti con sorrisi di approvazione dai giovani e ridestano nei cuori di chi ha "una certa età " dolci ricordi di tempi passati.

Il nostro piatto, in versione originale, o con qualche ritocco, diversamente dalla sorte che ha subìto lu pitirri (di cui si parla in un precedente articolo), è da tempo inserito nella lista di preziosi ristoranti e rinomate trattorie.
La pasta fresca viene riproposta in diversi formati ma di cavatieddi e maccarùna vanno fieri soprattutto gli Aliesi i quali ne vantano il primato.

Su di un ripiano (anticamente la maidda e lu scanatùri ), si impasta la farina di grano duro (che si può trovare in qualche mulino della zona) con un pò di sale e acqua tiepida, che al bisogno si va aggiungendo. In un primo tempo si frisculìa (si sbriciola fra le dita) il miscuglio e si lavora a lungo con le mani, fino ad ottenere un panetto morbido, liscio ed elastico. Si va spianando gradatamente cu lu sagnaturi (il mattarello), la cui rugosità  favorisce la perfetta lavorazione dell' impasto e si va assottigliando in una sfoglia consistente che si gira si rigira e si spolverizza spesso di farina, per evitare che la pasta si attacchi.

Formata una bella pàmpin a(sfoglia) dello spessore di mezzo centimetro, si arrotola non troppo stretta e si ritagliano bastoncini della lunghezza di due centimetri pi li cavatieddi e di cinque centimetri pi li maccarrùna.
Uno alla volta, si passano gli uni su di un ferro da calza e gli altri su di un filo di giunco e con un movimento strisciante in modo che la pasta aderisca attorno all'attrezzo. Si va avanti e indietro premendo col palmo della mano e con un colpetto finale deciso e prolungato che evoca rispettivamente un tintinnio argentino e il fruscio della paglia. Musica gradevole che allietava la nostra infanzia nel momento in cui le mamme si apprestavano a concludere l'opera d'arte!

Ora lu cavatieddu (una specie di fusillo) e lu maccarrùni (grosso., bucatino) si sfilano dall'attrezzo e via via si lasciano asciugare sulla tovaglia. Si lessa la pasta (l'uno o l'altro formato) in abbondante acqua con l'aggiunta di sale durante l'ebollizione, si scola bene e si condisce cu l'astrattu e la ricotta salata, se si vuole rispettare la tradizione. Ecco un primo piatto delle nostre moderne e sofisticate tavole. Piatto unico e inimitabile del passato dal sapore esaltante, orgoglio soprattutto della cucina aliese.

Lena Cook
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pubblicato in "La VOCE" di Alia, nr.1/06, pag. 12

 



Froscia d'ova "calati ni la sarsa"

Come gli antichi romani, anche noi aliesi tributiamo grandi onori alle polpette! Infatti, tra i piatti tipici della nostra cucina, degne di menzione sono le polpette di uovo in salsa di pomodoro.

Digeribili e di rapida cottura, la massaia aliese, appassionata gastronoma, ne ha sperimentate innumerevoli varianti, e, specialmente nella stagione autunnale, quando abbondano le uova "di casa", dal buon sapore campestre, è fiera di proporre la "froscia d'ova calati ni la sarsa", cioè le polpette all'antica, fatte insaporire per qualche minuto nella salsa di pomodoro precedentemente cotta, e, magari, col sugo condire la "magghietta", ovvero sia i maltagliati.

La donna attempata aliese, fedele alla tradizione, brava cuoca, presenta con orgoglio sulla mensa questa inconfondibile vivanda della cultura popolare e , di fatto, passata nella grande cucina, suscitando l'applauso anche dei commensali più sofisticati.

La preparazione richiede poco tempo. Basta avere per la buona riuscita uova di casa, pane casareccio, pecorino aliese, aglio, prezzemolo appena raccolti.
Si rompono le uova (uno a persona) in una terrina. Si sbattono per qualche minuto con la forchetta. Vi si spolvera un pizzico di sale e pepe e vi si aggiunge un pò d'aglio, un pò di menta, pane e formaggio grattugiati, del prezzemolo tritato. Ciò in dosi tali da costituire una sintesi armoniosa nel sapore e nell'odore. Si lavora il tutto sino ad ottenere un amalgama omogeneo.

Con questo impasto, che deve risultare morbido, si preparano tante polpette rotonde e schiacciate che si friggono nell'olio di casa. Si scolano e si asciugano sopra fogli di carta assorbente e si ripongono a cuocere per cinque o dieci minuti nel tegame, dove è già  pronto il sugo di pomodoro.

Si scola la pasta al dente e si versa in un vassoio. Si condisce con la salsa e si guarnisce con qualche polpetta o con tutte per farne, se si vuole, un'unica pietanza. Infine una spruzzatina di pecorino aliese e il piatto è pronto da portare in tavola.

Sembra un "quadro" d'autore dai colori accesi che si assapora già  con gli occhi.
Per chi si concede una breve vacanza nel nostro ospitale paesino, è facile respirare antichi profumi dell'arte culinaria aliese, tra cui l'odore intenso e delicato di "la froscia d'ova calati ni la sarsa" a cui da buongustai non sappiamo rinunciare.

Lena Cook
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pubblicato in "La VOCE" di Alia.

 
 
     
Edizione RodAlia - 15/03/2010
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