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IL VANGELO DELLA DOMENICA- 24/09
a cura di Don G.Silvestri
 

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IL VANGELO DELLA DOMENICA – 24 SETTEMBRE


DOMENICA XXV - PER ANNUN - MATTEO 20,1-16



In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro.

 

Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».

 


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Il vangelo di Cristo è scandaloso. Ma guai a colui che si scandalizza, perché mostra di non essere libero e di non essere nella verità. La parabola di oggi è esemplare. Un padrone di casa esce all’alba per prendere operai per la sua vigna, concordando un denaro come paga della giornata. Torna alle nove in piazza, trova altri disoccupati e li manda a lavorare. Esce anche a mezzogiorno e alle tre per la medesima ragione. Poi l’ultima uscita, verso le cinque, quando ormai si chiude la giornata lavorativa. Gli ultimi operai andranno solo per fare atto di presenza di un’ora appena di lavoro. In realtà, un contesto e una sequenza di momenti apparentemente molto strani.

 

A fine giornata, infatti, il padrone comincerà a fare i conti proprio con gli ultimi. Questi saranno gratificati con un denaro, così anche quelli delle tre, quelli di mezzogiorno e quelli delle nove. Alla fine arrivano i primi della giornata. Quasi scontata la loro delusione e la loro lamentela nel ricevere la stessa paga degli ultimi. La risposta del padrone non si fa attendere, mettendo in evidenza l’irreprensibilità del suo comportamento: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”.

 

La parabola mette in evidenza l’agire diverso di Dio nei confronti degli uomini. Tutti gli uomini sono chiamati al Regno di Dio. Nessuno deve restare disoccupato. Nella sua vigna c’è posto per tutti. La scelta di uscire alle diverse ore, indica che Dio offre a tutti possibilità di impegno e di salvezza, a tutti indistintamente. Egli non resta indifferente a chi arriva dopo, a chi è lontano, a chi si smarrisce, a chi lavora solo un’ora o non lavora affatto, a chi arriva alla fine della giornata e a chi non ce l’ha fatta.

 

L’uguale paga che Egli offre a tutti indistintamente non è paga proporzionata al lavoro svolto, al merito, all’impegno di tutta la giornata o di qualche ora appena. È la paga indispensabile alla necessità e al bisogno di vivere di ognuno, anche del peccatore e dell’ingiusto. Nella sua chiamata al Regno, Dio prima che al merito e alla ricompensa per il lavoro svolto guarda soprattutto al disagio e alla pena dell’essere incolpevolmente disoccupati, svantaggiati, sfortunati. Egli si preoccupa per la la vita, la sopravvivenza e la dignità ognuno.

 

 

Ora è chiaro che questa parabola non può essere tradotta banalmente in termini sociali, politici ed economici. Il potere politico-economico non guarda alle stranezze della verità rivoluzionaria del vangelo. Sono enormi, tuttavia, le conseguenze che anche dal punto di vista socio-politico ed economico se ne dovrebbero trarre, quando governanti, politici ed economisti fanno strage dei bisogni e delle necessità delle persone, dei disoccupati, degli emarginati, degli ultimi della società, e quando anche il pensare comune della gente converge soddisfatta su criteri razzisti, discriminatori, classisti, ingiusti portati avanti dai pubblici poteri e da politici di qualunque colore.

 

Ciò che tuttavia bisogna imparare dalla sconvolgente parabola del vangelo è che il Dio della fede cristiana è altro da quello che spesso pensiamo noi e dal pensare bigotto e farisaico. Questa è infatti una parabola per gli arroganti scribi, farisei e dottori della legge, i quali si ritenevano primi e privilegiati, che escludevano e negavano l’accesso al regno di Dio, che misuravano i meriti più che i bisogni e le necessità della gente.

 

Dio non si lascia imprigionare dai nostri pregiudizi, dalle nostre priorità, dalle nostre gerarchie. Non si lascia influenzare dai nostri giudizi approssimati e gretti, né dalle nostre invidie, dalle nostre gelosie, dai nostri miseri criteri di giustizia (summum ius summa iniuria), fissati dalle nostre istituzioni e anche dalle nostre costituzioni democratiche. Dio non guarda alla meritocrazia umana, quella che si nutre posizioni di forza e di privilegio, di posizioni acquisite, o di raccomandazioni, o di rapine legali, di raggiri burocratici, di corruzione nascosta, di apparenze e inganni, di furti nascosti e continuati alle spalle di chi non ce la fa.

 

Dio guarda all’uomo che ha creato e che ama; guarda alle sue creature, tutte bisognose di riconoscimento, di dignità, di stima, di fiducia. Né Dio guarda a noi uomini come a sudditi e a subordinati da dominare e da sfruttare come fanno spesso politici e amministratori della cosa pubblica; né guarda a noi come a massa da tenere a bada ‘panem et circenses’, da controllare, da raggirare con promesse bugiarde, o da imbonire subdolamente.

 

Dalle parole di Gesù emerge invece la magnanimità, paterna e materna insieme, verso ogni creatura umana. Dio Chiama tutti a salvezza. La parabola denuncia in modo evidente la distanza tra il modo di pensare divino e il modo di pensare umano, spesso discriminatorio e iniquo; legalmente giusto ma in sostanza ingiusto; formalmente legale in realtà lesivo dei diritti e della dignità personale; apparentemente imparziale e oggettivo, in realtà contaminato da pregiudizi e disprezzo degli ultimi. La parabola è la più chiara denuncia dell’artificiosità e dell’ipocrisia del nostro pensare umano, del perfido bizantinismo che mentre sacrifica la somma dignità dell’uomo, ha la pretesa di definirsi giusto ed equo.

 

E anche dentro la chiesa siamo sempre molto zelanti a calcolare meriti e demeriti di ognuno! Siamo sempre pronti a includere e ad escludere, a classificare arbitrariamente primi e ultimi, degni e indegni, buoni e cattivi, giusti e peccatori, fedeli e infedeli, occupati e disoccupati, uomini con diritti e uomini senza diritti! Con la nostra indifferenza e assuefazione all’iniquità, siamo giudici perversi verso chi è al margine, fuori, ultimo, in fondo alla fila, escluso, impedito, scartato, inviso.

 

Le parabole di Gesù sono belle, si dice spesso. In realtà, a bene intenderle, una dopo l’altra dovrebbero farci balzare dalle morbidi poltrone in cui siamo comodamente affossati.

 

 
     
Edizione RodAlia - 23/09/2023
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