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IL VANGELO DELLA DOMENICA -29/01
a cura di Don G.Silvestri
 

      

 

 

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IL VENGELO DELLA DOMENICA - 29 GENNAIO


IV DOMENICA (ANNO C) - MATTEO 5,1-12A

 

 

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.

 

Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».


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In questa domenica la liturgia ci propone il brano che, nel Vangelo di Matteo, passa come il ‘discorso della montagna’. È una pagina fondamentale di tutto il Nuovo testamento e della fede cristiana. È la tavola della nuova Alleanza tra Dio e il suo popolo, proclamata da Gesù. Come Mosé sul monte Sinai, anche Gesù sale sul monte (il monte di Dio) e da lì proclama la nuova legge, con ciò superando definitivamente la legge antica, la legge della lettera, la legge della giustizia farisaica, la legge del taglione e della vendetta, la legge del sabato che prevarica sull’uomo.

 

È una pagina mirabile, sapientemente articolata e redatta dall’evangelista Matteo. Sono proclamate otto beatitudini a simboleggiare la settimana del mondo che ricomincia, del mondo che non si s’arresta al sabato della morte e delle tenebre, ma che riprende il suo corso il primo giorno della settimana, giorno della Risurrezione, alba e inizio del nuovo mondo rigenerato dal sangue del Signore. Il brano nel testo originale è composto, per l’esattezza, da 72 parole, tante quante si pensava fossero allora, cioè al tempo di Gesù, i popoli del mondo; i popoli, cioè destinatari del vangelo del Signore, dell’Alleanza nuova, universale, scritta nel cuore e non nella pietra, tra Dio e l’umanità.

 

La prima beatitudine proclamata dal Signore emblematica- mente riepiloga le altre sette beatitudini: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”. È una beatitudine che riceve diverse e, spesso, controverse o contraddittorie interpretazioni. Lasciando agli esegeti il lavoro di fino sul testo; con molta prudenza ci si può accostare a tale beatitudine lasciando da parte l’interpretazione puramente letterale, che attribuirebbe a Gesù un elogio della povertà in sé. È bene chiarirlo: Gesù non beatifica la povertà! Essa è e resta un male, uno scandalo, una malvagità, frutto di ingiustizia umana, intollerabile. La povertà è una condizione umiliante da superare e per la quale impegnarsi perché sia totalmente eliminazione.

 

Da evitare, d’altra parte, l’interpretazione spiritualistica o intimistica, quella che fa di questa beatitudine l’invito al solo distacco spirituale dai beni ma che, nella realtà, lascia inalterate le gravi situazioni di ingiustizia e di oppressione fra gli uomini. Questa interpretazione spiritualistica, in realtà, annulla il vero significato della beatitudine che, invece, va connessa ad un cambiamento serio della propria vita e ad una netta presa di distanza concreta dalle strutture ingiuste della società; strutture malvage che vanno, invece, rimosse e attivamente combattute, per ridare dignità all’uomo e assicurare il pieno soddisfacimento dei diritti e dei bisogni di quanti non vi hanno accesso pieno e paritario.

 

Resta un’unica interpretazione valida e possibile: quella di intendere la beatitudine del Signore come l’attribuzione di uno stato di vera gioia e di vero godimento di felicità a coloro che, pagando di persona e rovesciando il rapporto tra l’uomo e i suoi beni, sanno usare generosamente quanto possiedono, e si attivano responsabilmente per rimuovere lo scandalo, insopportabile agli occhi di Dio, della povertà. Solo tale rovesciamento ci eviterà un elogio ingenuo e quasi estetico della povertà. La povertà non è bella, ma bruttissima. La povertà non è un valore; è invece un male serio, non solo materiale, non solo economico.

 

È privazione della dignità umana, del diritto a vivere una vita degna dell’uomo, fatto ad immagine di Dio. Essa è conseguenza della nostra indifferenza; frutto della prepotenza che sfrutta, opprime e umilia il fratello; frutto malato della cupidigia che ci fa schiavi di ciò che possediamo e privi di umanità.

La beatitudine del Signore è quindi la beatitudine di coloro che non si lasciano possedere dai beni che possiedono, che ne fanno uso generoso e liberale, che si attivano responsabilmente per vincere la povertà come condizione indegna dell’uomo, della sua dignità, della sua libertà.

 

Beati veramente sono coloro che considerano ‘destinate a tutti’ le risorse della terra; non disponibili all’accaparramento, all’appropriazione indebita, all’uso egoistico e individuale; beni indisponibili agli ingordi, alla mercé dei primi arrivati o dei furbi o dei rapinatori o dei prepotenti. Insomma i beni della terra sono ‘per tutti e per ognuno’ degli uomini. Solidarietà e giustizia sono i principi fondanti della comunità umana. Poveri nello spirito sono coloro perciò che orientano la loro esistenza al possesso della vita ‘vera’, al vero tesoro del Regno; che non è Regno dell’al di là, ma di ora, di questa terra, della sovranità di Dio nella nostra storia.

 

Questa prima beatitudine racchiude tutte le altre sette beatitudini: ‘beati quelli che piangono’ e non si lasciano abbattere dalla sofferenza e dal dolore; ‘beati i miti’ che resistono alla cupidigia; ‘beati quelli che hanno fame e sete di giustizia’ e lottano strenuamente per essa; ‘beati i misericordiosi’ perché hanno un cuore, fanno proprie le ferite altrui e mai si girano dall’altra parte; ‘beati i puri di cuore’ perché vedono con gli occhi di Dio; ‘beati gli operatori di pace’ perché non la fanno con le parole; ‘beati i perseguitati per il vangelo’ perché patiscono col Signore.

 

Le beatitudini proclamate dal Signore sono premio a se stesse. Beati! Non perché c’è la ricompensa dopo, ma perché la ‘vera’ vita è assolutamente ‘altra’, non dipende dai beni né dalla condizione sociale o economica.

Le “beatitudini” sono la ‘magna carta’ della chiesa. Noi però lo dimentichiamo. In alto e in basso. Stiamo zitti. Nessuna profezia. Nessun grido. Nessuna indignazione. Ci arrendiamo a don Abbondio (‘così va spesso il mondo’) o alla realpolitik. Né vediamo né sentiamo. In perfetta malafede, dimentichiamo di essere complici dell’orrore della povertà nel mondo, di coloro che sperperano le risorse comuni della terra per i loro loschi affari miliardari.

Siamo conniventi con coloro che, invece di amministrare equamente i beni destinati a tutti, non si vergognano di alimentare conflitti e di incrementare l’industria delle armi piuttosto che del cibo, lasciando alla fame e all’estrema indigenza moltitudini di fratelli, preparando un futuro di tragedie e di morte per milioni  di innocenti e per l’intero nostro pianeta.

 

 

 
     
Edizione RodAlia - 28/01/2023
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