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IL VANGELO DELLA DOMENICA- 02/10
a cura di Don G.Silvestri
 

 

 

 

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IL VANGELO DELLA DOMENICA – 02 Ottobre



XXVII – ANNO C - LUCA  17,5-10

 


In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe. Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”». Parola del Signore


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Chi segue Cristo sa di essere sempre in debito di fede e di fiducia, soprattutto quando Lui invita ad assumere atteggiamenti e comportamenti ‘nuovi’, ardui, umanamente difficili, che vanno controcorrente, soprattutto contro la mentalità farisaica e la prassi religiosa tradizionale. Basti pensare al messaggio del Signore “siate perfetti come è perfetto il padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,48). Il suo messaggio è una sfida continua per gli apostoli, come per noi oggi. Una sfida che spinge a superare l’ovvio, il pensabile, il possibile, per abbracciare invece l’improbabile, l’impossibile, l’inverosimile.

Così, per essere veramente suoi seguaci, occorre amare come ama Lui, avere misericordia come Lui ha misericordia, perdonare come Lui perdona, perdersi per gli ultimi come ha fatto Lui … Dinanzi a queste proposte, giorno dopo giorno, non solo i discepoli, ma anche noi avvertiamo lo scarto imbarazzante che c’è tra la proposta ardita di Gesù e la fragilità della nostra risposta.

 

Da questa comprensibile debolezza nel credere nasce la domanda che oggi gli apostoli pongono a Gesù: “Signore aumenta la nostra fede”. È una domanda che nasce dalla difficoltà che gli apostoli hanno ad abbandonare il mondo religioso, intorpidito e comodo, degli scribi e dei farisei; una religione esteriore, fatta di precetti vuoti e di adempimenti rituali e tradizionali.

 

Il Signore indica invece la necessità di superare del tutto la giustizia degli scribi e dei farisei, per abbracciare invece quello della fede e della fiducia in Dio. Egli propone ai suoi di instaurare un rapporto totalmente nuovo col Dio dell’amore, della misericordia, della benevolenza; un rapporto che, in quantità e qualità, va ben oltre il rapporto misurato, servile, legalistico, minimo, impaurito con Dio.

 

Fede in questo senso è salto, è capacità dell’uomo di accogliere nella propria vita una relazione d’amore, calda, avvolgente e coinvolgente, non più fredda e servile con Lui. Fede è accogliere nella propria vita una novità dirompente, non subire la dottrina fredda di un Dio lontano. Fede è accogliere in noi il suo smisurato amore che ci fa abbandonare ogni sentimento di paura e di terrore, ogni atteggiamento di sudditanza e di distanza. Solo l’accoglienza di questo dono, rende ogni giorno simili a Lui, e ci fa instaurare un rapporto pienamente intimo, filiale, assolutamente fiducioso e amicale.

 

Gli apostoli stentano a capire. Stentano ad abbandonare la religione della paura. Non hanno ancora fede. Il loro cuore non è ancora pronto a fidarsi ciecamente di Gesù. Ecco perché Gesù risponde: “Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe”.

 

La vera sfida è dunque la fede, come capacità nostra e non come qualcosa che arriva da fuori. Fede è apertura totale del cuore a Dio, capacità esplosiva dentro di noi, creativa e potente energia che nasce dalla fiducia piena nel Dio dell’amore. Sbagliano i discepoli a chiedere l’aumento della fede, perché questa deve scaturire dall’apertura del cuore stesso, dalla piena disponibilità a fidarsi e ad accogliere la proposta di Cristo. Dipende solo da noi allargare o chiudere il cuore al dono di Dio.

 

Perciò: servi o amici? Schiavi o figli? Religione o fede? Questo il dilemma della pericope del vangelo che segue. Servi sono quelli che pensano in modo servile; quelli che pensano a un Dio ‘padrone’, a un Dio che tiene l’uomo schiavo e dipendente. Servi sono quelli che ‘si pensano’ loro stessi come schiavi, sottomessi, ubbidienti e chini alla volontà del padrone. È vero. Il vangelo, oggi, parrebbe invitare ad essere servi ubbidienti e sottomessi. La verità del brano, però, è del tutto equivocata.

 

Del resto esso è incompatibile con l’insegnamento di Gesù stesso; ai suoi infatti dirà: “ non vi chiamo più servi ma amici” (Gv 15,15). Incompatibile soprattutto col suo comportamento; nell’ultima cena, infatti, Egli stesso si farà schiavo lavando i piedi ai suoi discepoli (Cf Gv 13,5-10). Sarà ancora Lui a farsi servo come dice il vangelo di Luca: “In verità io vi dico che egli si rimboccherà le vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli” (Lc 12,37).

 

Cristo perciò non ci vuole servi. Per contrasto, Egli sta parlando di coloro che resistono a un nuovo rapporto con Dio, che non accolgono Dio come padre e amico e si rassegnano a restare servi. È chiaro, quindi, il dilemma che sta ancora dinanzi a noi, credenti di oggi. Servi o figli? Schiavi o liberi?

 

Preferiamo un rapporto di servitù o di libertà con Dio? Preferiamo una religione servile o un rapporto filiale e amicale con Lui? Il linguaggio di Gesù non è invito alla remissività e alla sottomissione servile, a sentirsi solo servi obbligati e, alla fine, a ritenersi solo servi inutili.

 

Saremmo fuori dal pensiero di Cristo, ricacciati in una religione che nulla ha a che fare con la fede cristiana: “quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l'adozione a figli. E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio (Gal 4,4-7).

 

Servi inutili? Non credo. Né servi né inutili. Purtroppo, tanta spiritualità bigotta s’è ispirata a questo brano per ricavarne considerazioni alquanto nihiliste e masochistiche della vita cristiana. La verità è che non siamo più servi né dipendenti. L’umiltà, certo, è una virtù. Ma non l’umiltà dei servi. 

 

Virtù è solo quella dei figli, delle persone libere, di coloro che liberamente e gioiosamente accolgono Cristo nella vita e si conformano a Lui nella perfezione e nella santità. L’umiltà dei servi non è vera umiltà, non è virtù, perché è generata altrimenti: solo dalla paura e dalla sottomissione, non dalla libertà e dalla fede.

 



 
     
Edizione RodAlia - 02/10/2022
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