Francescano della prima ora, pellegrino di Cristo, s. Gandolfo venne a Polizzi nel 1260. Predicò la quaresima, preparò i padri alla Pasqua, annunziando l’’uomo nuovo’ secondo la misura di Cristo; percorse le strade di Polizzi operando i segni del regno di Dio, curando i malati e consolando gli afflitti; morì il sabato santo, 3 aprile, di quell’anno memorabile. Il contagio della sua parola e della sua testimonianza fu immediato e unanime. Da quell’anno ad oggi la nostra comunità è in debito di una testimonianza di fede cristiana essenziale e semplice, oggi assolutamente da riscoprire.
Ciò che ha toccato i cuori dei nostri padri non è stata la fama, la celebrità, il successo di questo francescano di Binasco, ma l’amore semplice ed umile verso Cristo e verso i fratelli. Celebrità e fama S. Gandolfo le ha trovate nell’annunzio del Vangelo: unica e assoluta novità della storia umana, messaggio intramontabile e rivoluzionario per tutta l’umanità. Gandolfo non si presentò come un sovrano, un superuomo, un eroe, un mito; non fu un intellettuale dotto o un genio filosofico, né un luminare della scienza o della tecnica.
Non fu neppure un maestro venuto a propagandare ideologie o a diffondere teorie esotiche e nuove dottrine. Gandolfo fu esattamente il contrario di tutto questo: fu un anti-eroe, un anti-mito, uno sconfitto, un perdente, solo un umile e povero frate ‘minore’, discepolo di quel Gesù che, a differenza delle volpi e degli uccelli del cielo, Lui, Figlio di Dio, non aveva un sasso dove posare il capo. Ispirò la sua vita alla debolezza e all’umiliazione della croce sull’esempio di San Francesco, il poverello di Assisi. Le sue credenziali sono state quelle del servo mansueto e umile di cuore delle beatitudini evangeliche.
Nè allora, né oggi chiede o si aspetta ammirazione, elogi, applausi, consensi, battimani e urla da platea; non chiede sacrifici, penitenze, mortificazioni, tanto meno sottomissione, sudditanza o soggezione; non ha calcoli, interessi, potere o ricchezze da difendere e da ostentare. Farne una sorta idolo sacro, un eroe, un uomo ‘super’, un distributore di favori - come succede quando il fanatismo prende il sopravvento nella pietà popolare e la magia si sostituisce alla fede – oppure farne pretesto per discorsi retorici o inscenare rappresentazioni o spettacoli vari che nulla hanno a che fare con la testimonianza evangelica è modo sbagliato per farne memoria.
Una sola cosa ne legittima la memoria: l’ascolto; l’ascolto della sua parola amica e paterna che porta diritto diritto a Gesù di Nazaret e al suo vangelo. Ogni altra cosa è fuorviante e può diventare un tradimento della stessa memoria; infatti “Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto” (Mt 10,41).
La sua memoria è quindi esplosiva, profetica, audace, come il Vangelo che egli ha predicato. La parola di Cristo è forza lievitante e graffiante la vita di ognuno. Se accolto veramente, il vangelo rivoluziona la vita degli uomini e della società umana. Una comunità che ne celebra la memoria è perciò una comunità che mette continuamente in questione se stessa e il mondo intero; che osa guardarsi allo specchio e che valuta umilmente la ‘distanza’ ancora troppo imbarazzante tra il vangelo di Cristo e la vita concreta della società. Il patrono è come uno specchio. La sua funzione è rinviare a questa ‘distanza’.
C’è perciò una questione che si ripropone anno dopo anno, festa dopo festa, celebrazione dopo celebrazione. Una questione taciuta, velata, nascosta, tenuta sempre a bagnomaria e mai affrontata chiaramente e coraggiosamente dai più. Una questione che merita, anzi esige, da ognuno di noi una risposta quotidiana; la medesima posta da Gesù ai discepoli nei pressi di Cesarea di Filippo: “Voi chi dite che io sia?”.
Fino a quando saremo evasivi su questa domanda fattaci dal Signore – domanda personalissima! –, le feste ‘andranno e verranno’ e noi saremo sempre uguali. Riti, tradizioni, spettacoli e rappresentazioni, folclore e luminarie abbaglieranno i nostri occhi ma inutilmente e, forse, dannosamente. Ci ubriacheremo di segni e di simboli, di luci e di suoni, di tamburi e di bande musicali ma nulla cambierà in noi e attorno a noi. Esporremo stendardi e simboli religiosi, innalzeremo simulacri e reliquiari, ma se la nostra giustizia non supererà quella degli arroganti scribi e dei farisei ipocriti, tutto sarà vano. E se non seppelliremo l’uomo vecchio, l’egoismo, la cupidigia, l’indifferenza, la falsità, la doppiezza, invano quel giorno busseremo alla porta. Altro che festa! Meglio cominciare a battersi il petto e guardarsi allo specchio.