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IL VANGELO DELLA DOMENICA - 31/07
a cura di Don G. Silvestri
 

 

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IL VANGELO DELLA DOMENICA – 31 LUGLIO

XVIII DOMENICA – ANNO C - LUCA 12,13-21



In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede». Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?” Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

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 Strano appello quello che, dalla folla, un tale rivolge al Signore: fare da mediatore tra lui e il fratello, per un’equa divisione dei beni ereditati! Una richiesta proprio a Lui, Figlio di Dio ma nullatenente, Signore dell’universo, ma possessore di nulla; proprio a Lui che, a differenza degli uccelli del cielo (che un nido ce l’hanno) e delle volpi (che una tana ce l’hanno), non ha un neanche sasso dove posare il capo. Probabilmente quel tale non conosceva ancora Gesù, né il suo insegnamento. Tuttavia, col suo appello, offre al Signore l’occasione propizia per un salutare e universale insegnamento sul vizio capitale che corrode nel profondo i rapporti umani, i rapporti tra eredi, tra parenti, tra fratelli e sorelle: la ‘cupidigia’.



La prima parte dell’insegnamento del Signore si racchiude nella massima generale: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede». Verità ovvia. La cupidigia rende deserta l’anima umana; dà morte allo spirito. L’ossessiva bramosia di beni e di denaro priva l’uomo di ogni slancio valoriale e spirituale, riduce l’uomo a maschera vuota, a fantasma inconsistente. Cedere del tutto l’anima ai beni materiali; vivere annusando in ogni cosa l’utile per sé, il profitto, il guadagno; far prevalere in ogni cosa l’interesse materiale ed economico, significa ridurre la propria vita al livello delle cose stesse che si desiderano, a pura merce di scambio, a mera realtà materiale. Vivere poi i rapporti familiari e sociali fiutando sempre affari e convenienze, strumentalizzando relazioni e profittando di ogni occasione per accumulare e ammucchiare beni, è stoltezza pura. Significa, insomma, negare senso alla vita umana stessa, precipitare nella stoltezza più vana.



Beninteso, stolto non è l’uomo che lavora onestamente o che si impegna a migliorare la propria vita; stolto non è chi cerca un lavoro più rimunerativo o chi prudentemente cerca di provvedere col suo risparmio al proprio futuro incerto e a quello della propria famiglia o della società. Né il Signore nega valore alla fatica, alla laboriosità umana all’impegno per migliorare la propria condizione economica. Tutt’altro!



Ma la cupidigia è un’altra cosa. La cupidigia è vizio ‘capitale’! Lo è perché ne va della propria vita, della propria dignità di uomini. Infatti, prima che della vita degli altri, la cupidigia è pena capitale per sé stessi; è disprezzo di sé, autolesionismo puro, annullamento del proprio io come ‘persona’, come spirito, come valore trascendente. Nel culto feticistico dei beni che si possiedono ognuno scrive la propria condanna, lo spegnimento della propria coscienza personale, la riduzione al nulla del valore della propria vita.



La seconda parte dell’insegnamento del Signore felicemente s’appoggia su una metafora tanto efficace quanto saggia, utile a riportare l’uomo ‘stolto’ alla misura di sé, al proprio limite, al limite costitutivo di tutti i progetti soggettivi, nonché dei sogni e delle aspirazioni dell’uomo. Che serve infatti accumulare anno dopo anno sempre di più, un raccolto sull’altro, una ricchezza sull’altra? Che serve demolire i propri magazzini e costruirne di nuovi per un raccolto ancora più grande, e poi sognare, sognare di vivere beati e felici per tutta la vita? Che senso ha un accumulo esorbitante, smisurato, se la vita - la vita vera! - non dipende dai beni che si possiedono e, soprattutto, se i giorni della vita dell’uomo sono tutti contati: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”



Ascoltando queste parole del Signore vien proprio da pensare che ‘stolti’ non si è se non si capiscono le cose difficili e complicate, ma solo se si sfugge al semplice buon senso. Ora il Signore ci richiama all’ovvietà, all’evidenza! Ciò che propriamente la metafora evangelica condanna non è il miglioramento della vita umana, ma solo la stoltezza di un uomo che pensa solo a sé e a nessun altro; veramente stolto è chi accumula solo per sé, indifferente e incurante della vita altrui. Condannato, dalla metafora di Gesù, è perciò il miope narcisismo di coloro che non fanno i conti con la propria coscienza, e coi giorni che Dio concede alla vita di ognuno. Non chi ‘possiede’ beni è stolto, ma chi è ‘posseduto’ dai beni; chi ha il démone di mammona; chi ha il cuore nei propri granai, nei propri magazzini sempre più pieni; chi deposita l’anima nella propria cassaforte in banca, chi sciupa la propria dignità personale e rinnega il proprio volto a immagine del Dio vivente.



Né meno grave è oggi l’altra odiosa forma di cupidigia. La cupidigia di chi ambisce e brama il potere in tutte le sue forme. La cupidigia di quei poteri che mirano a controllare e a dominare persone e famiglie, donne e bambini, operai e immigrati. La cupidigia malavitosa di coloro che fanno ingordi profitti sulla pelle di esseri umani costretti a fuggire in massa dalla propria terra per fame, miseria, guerra; la cupidigia, infine, di chi si impossessa di immense risorse della terra destinate a tutti: risorse energetiche, finanziarie, tecnologiche, idriche, sanitarie, belliche, tenendo per il collo intere nazioni e comunità umane. Anche questa cupidigia è finalizzata al possesso smodato e ingiusto, iniquo ed egoistico, di risorse e beni destinati a tutti.



C’è un solo modo per definire la gravità di questa cupidigia dalla doppia faccia; essa è idolatria pura. Annulla Dio, vanifica il Vangelo, fa schiavo l’uomo, condanna a morte i poveri. Questa idolatria è diffusa negli stati, nelle società e nelle religioni; nelle chiese e nelle istituzioni, nel tempio e nella piazza. Strisciante e diabolica questa idolatria infesta il tessuto umano; fa bugiardo Dio; dissacra la terra da Lui creata per la gioia e il benessere di tutti; disonora la Parola incarnata, il verbo di Dio fatto uomo, venuto a proclamare la gioia delle beatitudini e la bellezza dell’uomo nuovo, fatto ad immagine di Dio. Da questa idolatria – vergognosa miscela di ‘potere’ e ‘avere’ – Gesù vuole liberare gli uomini, quelli che un cuore ce l’hanno ancora e vogliono conservarlo puro da questo mondo.


 

 
     
Edizione RodAlia - 30/07/2022
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