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IL VANGELO DELLA DOMENICA, 10/04
a cura di Don G. Silvestri
 

immagine allegata



 

VANGELO DELLA DOMENICA 10 APRILE

DOMENICA DELLE PALME (ANNO C) – Luca 19-28-40

 

In quel tempo, Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme. Quando fu vicino a Bètfage e a Betània, presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli dicendo: «Andate nel villaggio di fronte; entrando, troverete un puledro legato, sul quale non è mai salito nessuno. Slegatelo e conducetelo qui. E se qualcuno vi domanda: “Perché lo slegate?”, risponderete così: “Il Signore ne ha bisogno”». Gli inviati andarono e trovarono come aveva loro detto. Mentre slegavano il puledro, i proprietari dissero loro: «Perché slegate il puledro?». Essi risposero: «Il Signore ne ha bisogno».

Lo condussero allora da Gesù; e gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù. Mentre egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada. Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, pieni di gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo: «Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!». Alcuni farisei tra la folla gli dissero: «Maestro, rimprovera i tuoi discepoli». Ma egli rispose: «Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre». ***


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immagine allegataLa chiesa fa memoria viva dell’ingresso solenne di Gesù a Gerusalemme. Il Signore entra nella Città santa, cavalcando un’asina, mentre la folla e i fanciulli osannanti, agitando palme e rami di ulivo e stendendo i loro mantelli sulla strada, lo acclamano con grida di gioia e di giubilo: «Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore». È un ingresso trionfale, gioioso, promettente. Un ingresso tuttavia che, da lì a qualche giorno, si rivelerà fortemente drammatico, anzi tragico, per la sorte di Gesù. Proprio a Gerusalemme, città di Dio, luogo della promessa di Israele e centro della fede ebraica, il Signore sarà incredibilmente umiliato dai suoi nemici e persecutori, processato e condannato a morte infame, sulla Croce.



Noi oggi, liturgicamente, lo accogliamo con significato univoco: lo accogliamo come Salvatore e Redentore dell’umanità, come Pastore mansueto e bello che ha testimoniato la verità sino a morire in croce. Crocifisso, sì, ma Risorto per la nostra salvezza. Se abbiamo ancora fede sincera e vere lacrime di pentimento, lo accogliamo come umile re di gloria che, con la sua umiliazione fino alla morte di croce, ha innalzato a sublime dignità divina la nostra fragile umanità.





'Se abbiamo ancora fede sincera e vere lacrime di pentimento!' Questa la condizione per fare della memoria dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme un evento salvifico del nostro presente, cioè di oggi, di questa settimana ‘santa’. Quanto avvenne duemila anni fa non può, infatti, non inquietare ancora la coscienza di tutti. Ricordare quell’evento significa sentire ancora che il dramma di Cristo è sempre vivo e attuale.

Si ripete – ahimè! - di continuo il brusco passaggio da una folla osannante e giuliva a una folla inferocita che impreca, ingiuria e manda in croce con lo stesso grido assassino di due mila anni fa dinanzi a Pilato: “Crocifiggilo, crocifiggilo”. Inquietudine e tremore grande, perché quel dramma non è finito ma, in forme e modalità diverse, drammaticamente si riproduce ancora oggi nella carne viva dei deboli, degli innocenti, dei rifugiati, dei migranti, dei bambini, delle donne, dei poveri tutti della terra.



Accogliere oggi Cristo e cantare ‘Osanna!’, come duemila anni fa, non può farci dimenticare quel tragico ‘dopo’, i successivi giorni della passione dolorosa del Signore: insulti, ingiurie, bestemmie, malignità, violenze, crudeltà; e poi, come non bastasse, i tradimenti, i rinnegamenti, gli abbandoni e la dispersione degli stessi discepoli e seguaci. L’incredibile voltafaccia della folla di Gerusalemme dinanzi a Pilato continua ad essere cartina di tornasole degli stessi vergognosi voltafaccia di oggi.



C’è perciò il rischio di fare di quell’ingresso di Gesù a Gerusalemme non solo una memoria vuota e superficiale, ma anche una rappresentazione falsa e ipocrita. E noi lo corriamo davvero questo rischio, trascinati dall’abitudine e dall’inerzia di una religiosità che spesso trasforma i riti liturgici in gesti insignificanti, privi di vita, frutto di sola tradizione e di abitudine, ma del tutto indifferenti alla realtà e ai drammi sociali e umani che si consumano sotto i nostri occhi.

S’impone insomma una riflessione sincera, schietta, sulla nostra adesione al vangelo del Signore. Dobbiamo chiederci se abbiamo veramente accolto il vangelo rivoluzionario del regno. Insomma: che genere di discepoli siamo? Cosa c’è di ‘cristiano’ nella nostra vita personale ed ecclesiale?



A essere sinceri, i segnali di una vita cristiana che di ‘cristiano’ ha solo la parola e nient’altro, sono tanti. Abbiamo dimenticato il fuoco vivo dello Spirito di Cristo che ci ha fatto rinascere ‘creature nuove’; sciupiamo la carica di energia e di grazia che scaturisce dalla croce del Signore, che coinvolge e rivoluziona la vita intera.

Siamo diventati paurosi, mediocri, tiepidi dinanzi alle forze malefiche che calpestano il bene, la verità, la giustizia, la dignità umana. La nostra fede è spesso solo di tipo ‘anagrafica’, fissata solo nel registro di battesimo. Viviamo una ‘sequela di massa’ informe e indistinta, un cristianesimo di folla anonima e volubile, pronta a giurare fedeltà e subito dopo a rinnegare; pronta a osannare e a voltarsi indietro un istante dopo. Cristiani sballottati dal vento, saltimbanchi della fede, volteggianti di qua e di là, senza spina dorsale, incostanti e voltagabbana, indolenti e instabili.



E la chiesa, le comunità cristiane, le strutture e le istituzioni religiose, le relazioni ecclesiali? Spesso e volentieri non si vede in esse alcuna logica evangelica, né quella del servizio, né quella dell’amore fraterno, né quella dell’inclusione, o della comunione, o della sinodalità, o delle beatitudini. Niente. In realtà, potere e autoritarismo, gerarchie e carrierismi, arroganze e calcoli, scandali e corruzione stanno proprio a condannare miseramente i nostri ’osanna’ e la nostra falsa coscienza!

Davvero stiamo testimoniando il vangelo del Signore? E le guerre? Le guerre che scandalosamente vedono le stesse chiese sorelle divise su fronti opposti e i cristiani piegati a ripugnanti e sfrontate logiche competitive, bellicistiche, disumane, vendicative, punitive? Dov’è oggi Cristo nell’Europa dalle radici cristiane? Dov’è il vangelo nell’Europa che torna ad armarsi, a spendere cifre enormi per arsenali militari alla faccia delle famiglie bisognose, dei poveri, degli ultimi e degli affamati della terra? Dov’è Cristo oggi? Di quale Cristo siamo discepoli? Dov’è l’uomo cristiano? Siamo ridotti al lumicino di una fede quasi spenta, alla lanterna di Diogene: cerco il cristiano! Sento il divino lamento del prossimo venerdì santo: “Popolo mio, che male ti ho fatto? In che ti ho provocato? dammi risposta!”.

 

 

 
     
Edizione RodAlia - 09/04/2022
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