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IL VANGELO DELLA DOMENICA, 20/3
a cura di Don G. Silvestri
 

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VANGELO DELLA DOMENICA 20 MARZO


III DOMENICA DI QUARESIMA - ANNO C - Luca 13,1-9




In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”». Parola del Signore. 

 

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La quaresima è tempo di verifica, di riflessione critica, di rinnovata consapevolezza del significato della nostra vita. Tempo propizio a noi uomini. Ma, a pensarci bene, tempo utile anche a Dio. A noi uomini, per tornare ad essere consapevoli di noi stessi e responsabili, liberi nella mente e nel cuore, aperti a tutto l’umano possibile e auspicabile. Tempo utile e prezioso anche a Dio, cioè tempo che Lui concede a Sé stesso, alla sua pazienza, alla sua misericordia; per meglio maturare un ponderato atteggiamento verso di noi e un mite giudizio verso le nostre debolezze e i nostri errori.

Tempo nel quale Egli mette mano al suo rinnovato rapporto di alleanza con l’uomo, al Suo impegno di fedeltà e alla sua promessa di benevolenza verso la nostra fragilità creaturale; al suo amore, insomma, verso il mondo da Lui voluto e creato. Tempo nel quale Egli fa i conti col suo cuore di Padre e di Madre sempre in amorevole ansia per noi, suoi figli; sempre pronto a cogliere anche i segnali della nostra conversione e del nostro pentimento.

 

È importante tenere a mente l’incrocio provvidenziale di questi due registri quaresimali. Come noi uomini abbiamo bisogno di riflettere per non agire d’impulso, per non cedere all’errore di calcolo nella nostra vita, per verificare la bontà del nostro operato; così anche Dio si concede tempo, un tempo di pazienza, una lunga pausa di vigilanza e di attesa fiduciosa; quanto gli serve, cioè, a verificare il nostro effettivo miglioramento, il nostro processo di maturazione personale, il nostro consolidamento sulla via del bene, della giustizia, dell’amore. Tempo di salvezza, per noi e per Lui, il più serio che c’è. Non gioco finto, simulazione di ciò che è deciso, ma tempo propizio di drammatico discernimento.

 

“Questi il Figlio mio, l’eletto, ascoltatelo”. Ecco la consegna che ci è stata fatta, quando Gesù si è trasfigurato davanti ai tre discepoli sul monte Tabor e, prima ancora, quando fu Battezzato nel fiume Giordano. La nostra salvezza è ora appesa al filo d’oro della Parola del Figlio amato da Padre; la nostra sorte si lega all’accoglienza operosa che riserviamo alla Sua parola di vita, alla conversione del nostro cuore. Ed è la quaresima, segno sacramentale della nostra intera esistenza, il tempo privilegiato di verifica della nostra capacità di ascolto del Signore, di accoglienza del seme della Sua Parola, di fedele sequela del suo insegnamento e di generosa cooperazione alla sua azione salvifica.

 

L’occasione per cogliere questo duplice registro quaresimale è data, nel vangelo, da quei giudei che, inconsultamente, ritenevano di avere una sorte migliore di quei galilei il cui sangue Pilato aveva mescolato a quello di animali destinati al sacrificio. È l’occasione, per Gesù, per sciogliere definitivamente l’apriori ipocrita di quanti ritenendosi ‘giusti’, senza tuttavia esserlo, assegnano il castigo di Dio ai peccati commessi da quanti avevano subito quella terribile sorte. Parola severissima quella del Signore! Richiama al fatto che ‘nessuno è innocente’ davanti a Dio e nessuno deve meravigliarsi della sorte toccata ad altri. Siamo infatti ‘tutti colpevoli’ dinanzi al Signore; colpevoli di arroganza e di presunzione; colpevoli di ipocrisia nel ritenerci giusti senza esserlo; colpevoli anche di giudicare e di condannare, tirando e sequestrando Dio dalla nostra parte:

 

“Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”. E, rincarando la dose, aggiunge ancora: “O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”.

 

Parole severe, certo; ma infinitamente gioiose e liberanti per quanti ripongono umilmente la loro fiducia solo in Dio e aprono il cuore a Cristo. Parole di verità, che dissolvono di colpo la comoda e ipocrita dottrina tradizionale che assegnava a Dio l’infame compito di essere giudice implacabile, punitivo e vendicativo dei peccati commessi. Le parole di Gesù dissolvono la falsa coscienza di coloro che guardano alla vita religiosa come un fiscalissimo dare/avere con Dio; come ad un servile e scrupoloso calcolo di meriti e demeriti, di castighi e premi, di sacrifici e ricompense, di penitenze e favori, di opere buone e peccati. Il Dio di Gesù non è un Dio che tiene registro e pagelle in mano, né un Dio perennemente seduto con la bilancia in mano.

 

Quanto errato perciò il pensiero di coloro che trascinano Dio nel vortice passionale, torbido, oscuro dei loro miserevoli giudizi umani e delle loro ipocrite valutazioni. Gesù fa finalmente definitiva chiarezza. Dio è Dio, nessuno deve tirarlo per la giacchetta. E nessuno può parlare di Lui, o in suo nome, se non Colui che si lascia istruire dalla bocca e dall’insegnamento del Figlio, l’Eletto del Padre,.

 

“Questi è il Figlio ,mio, l’Eletto: ascoltatelo!" Solo dalla sua bocca apprendiamo la verità e la conoscenza del Padre: la bontà e il suo infinito amore per gli uomini, la sua misericordiosa pazienza verso di noi, il suo disegno universale di salvezza. Non ci è più lecito, quindi, parlare di Dio se non nell’ascolto di Lui, Verbo incarnato; è Lui che ce lo rivela con la sua parola, che lo mostra nella mitezza del Suo volto umano. Ora sappiamo, finalmente, chi è Dio. Il Volto del padre è stampato nel volto tenero del Figlio, venuto sulla nostra terra a cercare le sue creature, disposto a dare la vita per loro, pronto a raggiungere, fino allo stremo delle sue forze e a riportare sulle sue spalle anche una sola pecorella smarrita del gregge.

 

La durezza con cui Gesù replica a quei giudei gonfi e sicuri di sé introduce alla conoscenza di un Dio scandalosamente ‘diverso’ da quello insegnato da scribi e farisei ipocriti. È funzionale a farci scoprire la tenerezza di Dio, il suo folle amore per l’umanità. Inviando il Figlio nel mondo, Dio sta facendo la sua quaresima: tempo di pazienza, di attesa, di fiducia in noi perché, presi in cura dal Figlio, ci guardiamo allo specchio e riconosciamo il nostro vero volto umano. La quaresima è tregua di un Dio che non ha perso la sua fiducia in noi. Aspetta che le parole di grazia del Suo Figlio, divino ‘Vignaiolo’ e amorevole ‘Coltivatore’ del terreno umano, facciano breccia nel nostro cuore e producano frutti di vita, di amore e di giustizia.

 

 

 
     
Edizione RodAlia - 19/03/2022
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