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IL VANGELO DELLA DOMENICA, 28/11
a cura di Don G. Silvestri
 

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IL VANGELO DELLA DOMENICA – 28 NOVEMBRE


I DOMENICA D’AVVENTO - LUCA 21,25-28.34-36

 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.

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Il tema delle ‘cose ultime’ unisce prime e ultime domeniche dell’anno liturgico. L’inizio rinvia alla fine e la fine all’inizio. In tutto è così, non solo nella liturgia. Nella liturgia cristiana inizio e fine si toccano perché la fine non è in alcun modo il ‘nulla assoluto’, ma solo un nuovo inizio, un ricominciamento. La fine è solo il compimento di ciò che ha avuto un inizio. Ciò che inizia, d’altra parte, invoca sempre il compimento e la pienezza. Il compimento finale verso il quale andiamo è ‘nuova creazione’, restaurazione di ogni cosa, e perciò nuovo inizio. Sotteso alla logica liturgica, anno dopo anno, si sviluppa un movimento circolare in ascesa, a spirale, sempre più in alto, sempre più vicini al compimento ultimo attraverso nuovi inizi creativi e nuovi compimenti. Non restiamo mai fermi nella stessa posizione. 



 

Avanziamo, in continua ascensione verso l’alto, ogni anno ripercorrendo le magnifiche tappe della nostra salvezza, facendo palpitante memoria di ciò che è stato l’Evento decisivo duemila anni fa, quando il tempo si è compiuto, ha interrotto la sua corsa davanti alla culla di Betlemme, per riprendere con slancio il nuovo corso, quello allettante del compimento, sotto la soave sferza dell’alba della Risurrezione: quella del tempo ultimo, della meta gloriosa del Regno, dell’Eschaton. Per la vita personale di ognuno, tanti inizi e tanti finali annuali, quelli degli anni che Dio concede alla nostra vita e al nostro pellegrinaggio personale. Per la chiesa intera, invece, nella sua lunga storia millenaria, sono tanti inizi e tanti compimenti da un millennio all’altro e da un secolo all’altro, in attesa dell’incontro con lo Sposo, nella sala del gioioso banchetto nuziale!



 

Oggi, prima domenica d’Avvento, riprendiamo a salire più in alto, nella gioia e nella fatica, nella fede e nella speranza, con l’olio dell’amore fraterno nelle nostre lucerne e il cuore rivolto a Lui, amato e desiderato Sposo della Chiesa. Non dimentichi però che i tempi presenti sono tempi segnati ancora dalla contraddizione e dall’ambiguità. Tempi di prova e di discernimento, tempi di semina ma anche di distruttiva negatività. Crescono il seme buono e la vita; crescono anche il male e la paura che minacciano la pace e la serenità dell’uomo; tempi di speranza e di angoscia insieme. Ecco il Vangelo di questa domenica, di straripante attualità: “Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.”

 



Col tipico linguaggio apocalittico, il vangelo di Luca prospetta davanti a noi tutte le difficoltà del tempo presente, ambiguo e contraddittorio, oscuro e dilemmatico; dove l’antico male con violenza insolita si contrappone al nuovo che nasce; dove l’uomo vecchio con i suoi vizi e le sue malvagità stentano a morire, rallentando così il parto della verità e della giustizia e l’avvento dei cieli nuovi e della terra nuova. Guerre, violenze, stragi, deportazioni, distruzioni, incendi, cicloni, inondazioni, occupano posto stabile nelle comunicazioni quotidiane, bucano lo schermo e la nostra mente a tutte le ore del giorno e della notte, turbando i nostri sogni e alimentando le nostre paure inconsce. Migliaia di profughi e di bambini tra i boschi sono stanchi di bussare ai fili spinati del nostro continente; non c’è posto per loro negli nostri alberghi e neanche nelle grotte di questo continente. E vantiamo radici cristiane! Foschi panorami futuri - segnati dall’incubo dell’uso di armi chimiche sempre più micidiali e di scontri fra grandi potenze con i loro arsenali di armi apocalittiche - si prospettano sempre come ombre minacciose davanti a noi, increduli e impotenti a fare qualcosa. 



     

D’altra parte - a fronte di inconcepibili spese militari - tristissime situazioni di miseria estrema si estendono irrimediabilmente nei paesi del terzo mondo e anche del quarto, nelle periferie sterminate delle nostre metropoli moderne, dove indigenze estreme costeggiano appena lussuose esposizioni di moda e abbaglianti vetrine di centri urbani. Cresce a ritmo incalzante il numero dei poveri mentre si restringe in modo inversamente proporzionale il mondo dei ricchi; una manciata di paperoni in grado ormai di disfare a piacimento la vita delle nazioni schioccando le dita attorno a un tavolo o sorseggiando un caffè. Intere masse di uomini sono ormai totalmente soggiogate, in balia di politiche economiche neo-capitalistiche, sanitarie, ideologiche, disumane, attraverso l’influenza diretta sui poteri nazionali e locali e attraverso uno raffinatissimo controllo di tutte le fonti di informazione, dei mass-media, dei social, della carta stampata, ecc. 



 

Dulcis in fundo, si va consumando ancora uno sfruttamento irresponsabile delle risorse della natura da parte di nicchie di uomini al potere che spacciano per meraviglioso futuro uno sfacciato e immorale sviluppo tecno-capitalistico dalle mille teste, onnipotente e indomabile, mai sazio di vite umane immolate alla razionalità strumentale, al miraggio di un progresso scientifico e tecnocratico risolutivo dei problemi umani. Profeticamente, il linguaggio apocalittico dell’evangelista Luca, negli sconvolgimenti della natura stessa (“ci saranno segni nel sole, nella luca, nelle stelle, e sulla terra angoscia…”), ci indica che anche il cosmo partecipa direttamente al travaglio umano e storico della nuova creazione; viene a svelarci la nuda verità di un contrasto finora ignorato tra l’antico e il nuovo, relativo al disastro ecologico. Infatti, la natura, come sorella e madre offesa dai guasti e dalla crudeltà arrecatile dall’uomo, oggi grida a squarciagola la sua sofferenza, facendo suo - ahimè! - l’abissale, profetico, urlo di Munch. Anch’essa, assieme a tutta l’umanità povera, fa sentire il suo urlo di protesta contro coloro che ne abusano, che la sfruttano per interessi egoistici, avvelenando i suoi mari, i suoi fiumi, i suoi laghi, le sue montagne, le sue valli, causando gravissimi danni agli ecosistemi e favorendo irresponsabilmente inondazioni e cataclismi climatici. 



     

Grida anche il sole, la luna, le stelle, ormai offuscati da una cortina di atmosfera inquinata, di aria irrespirabile, di veleni, di polveri sottili, di nano particelle, che surriscaldano il pianeta mentre avvelenano l’uomo stesso e l’ambiente in cui tutti viviamo. Come fantasmi in un mondo in cui ci è difficile riconoscerci creature vive, ci rendiamo conto ormai che uomo e natura subiamo la stessa violenza e subiremo la stessa drammatica sorte. Dovremo rassegnarci davvero alla fine di tutto? C’è una luce in fondo al tunnel? Forte la tentazione di dubitarne. Di contro a questo non del tutto irrealistico ma fosco panorama, il Vangelo proclama: “Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”. 



 

Parola inaudita e liberante. Le sorti del mondo - attesta la Parola - sono ancora in mano al Signore del tempo e della storia. Non siamo in mano a un destino cieco. Questo Avvento, però, torna a mettere alle corde la nostra coscienza credente, a pigiare sullo spessore della nostra fede e della nostra speranza. Mi chiedo: continueremo a credere e a sperare ancora o cederemo all’amnesia dell’’Oltre’ e dell’’Altro’? Sarà ancora salda la nostra speranza o ci rassegneremo al trionfo iniquo del Leviatano? Saremo ancora nella storia con l’olio della carità e con il grembiule del servizio o ci avvieremo come ombre vane verso l’insignificanza della nostra presenza nella storia? Cresceremo nella saggezza e nel discernimento dei segni dei tempi o la miopia ci condurrà alla cecità totale? E questo ‘tempo liturgico’ che iniziamo oggi: risveglierà in noi l’attesa viva e operosa del Regno di Dio e della sua giustizia o saremo ancora incapaci, asino di Buridano docet, di intendere e di volere, di decidere e di scegliere? 



 

Di sicuro, una stella in fondo al tunnel, caparbia, brillante, luccica ancora sulla grotta di Betlem; di sicuro vedremo il Figlio dell'uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Dubbio: “Troverà ancora fede sulla terra?”


 

 
     
Edizione RodAlia - 27/11/2021
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