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Ambito di Ricerca:Le attività lavorative e produttive, nel tempo
   
SULL'ANTICA STAGIONE DEL GRANO
by G.Todaro
 
GIOACCHINO TODARO_poesie


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LE POESIE DELL'ALIESE GIOACCHINO TODARO




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Sull'antica stagione del grano


L'aratura


Solchi su terra tracciati,

su campi già noti poco bagnati,

d'aratro tirato da bestie pazienti,

adorni d'arredi di mani sapienti;

guidato con lento, sincrono passo,

con braccio fermo sospinto nel basso.


Nell'aere silente, comandi imperiosi

si levan in alto ad orecchi ormai usi,

seguiti dal tiro deciso del morso,

da lievi tocchi di frusta sul dorso,

incitanti ad un maggiore vigore

ai passi stanchi che vanno a morire.


Una sosta, su una pietra, a riparo,

la biada alla mula e per loro ristoro

da quel pane sin dall'alba sfornato,

d'olive, formaggio e vino rosato

riposto in un legno, ricordo dell'avo,

succhiato come dolce miele dal favo.


La semina


Grano buttato nel solco fumante,

piccole dosi, con fare costante,

da gelide mani di bimbo, tremanti,

avviato così per fame agli stenti;

strappato dai banchi intento a sognare

su quei libri, ora in un canto a marcire.


Quel grano sottratto alle dolci fragranze

or seme a cui tutti affidan speranze,

coperto da soffice coltre, con cura e fatiche,

sottratto alla brama di uccelli, topini e formiche,

affidato ad un grembo di terra assai generoso,

con l'acqua, la neve, il vento ed il sole soffuso,

germoglia e la vita vien fuori

con spighe ai primi tepori.


Mani amorose le prendono in cura

per renderle forti, la vita sicura;

speme di tutti nel cuore pregnante

che diano quest'anno frutto abbondante.

Col sole di giugno, mature e tèmprate,

eccole pronte ad esser falciate


La mietitura


Distese ondeggianti di campi dorati,

di giovani e vecchi con dorsi nudati;

schiene dolenti ad estreme fatiche,

in quel deserto formato di spiche.

Vagare costante di ragazzo provato

per dare ristoro con vino annacquato,

con acqua di pozzo in "quartare" di cotto,

con pane indurito e di qualche biscotto,

alla ciurma per il caldo assetata

ed alla fatica, dall'alba, provata.


Sguardi assoldati sul campo a mirare

su quanti curvati intenti a falciare,

per dare a tutti una voce d'intesa

se la fatica rallenta la resa

Volti grinzosi coperti da ispido pelo,

di braccia, di petto sotto ruvido telo;

alla testa berretti o cappelli di paglia

protèsi allo sforzo per la loro famiglia.


Falange disposta sul campo a tenàglia,

con falci, forconi, or danno battaglia,

lasciando per terra, con cura allineati,

covoni già pronti ad esser trebbiati.


Donne in gramaglie, di stanza alle case,

lontane da sguardi e brame vogliose,

vere fattrici di pane e di pasta,

di bimbi a dormire in culle di cesta,

che degli "uomini " è data la cura

d'un pasto caldo frugale alla sera.


Giovane e vecchio, in luogo appartato,

su letto di fieno, appena accennato,

giacciono inerti, con occhi di fuoco,

presi da febbri di insalubre loco.


La spigolatura


Carretti addobbati, disposti su campi mietuti,

con uomini e donne, da luoghi lontani venuti,

curvati su stoppie, pel sole roventi,

a guisa di frotte di bipedi armenti,

raccolgono spighe, tra stenti ed affanno,

per "fare la mancia"che occorre per l'anno.


Erranti pei campi, vestiti addobbati

protetti negli arti con cenci usati,

con sacchi alla schiena fissati per l'uso,

la mente, le forze e lo sguardo profuso

in cerca di spighe disperse, con cura,

che mani veloci fan presa sicura.


Volti di genti con altro dialetto

ma dello stesso sentire e nel petto

l'amore alla terra, madre di tutti,

che dà vita e sostiene gli afflitti

e accomunati d'un uguale legame:

lottare allo spasmo a non fare la fame.


Prole lattante, ancor priva di denti,

all'alba lasciata a mani innocenti

di bimba cresciuta prima del tempo

perchè la mamma è fuori nel campo.


Pensieri di vecchi rimasti in paese,

adusi, ai tempi, a simili imprese,

sono presenti con loro nel petto,

ormai numi di casa e d'affetto.


Carretti stracolmi, all'alba su strade sterrate,

riportano a casa, lontano, persone ora note.

In tutti si vede un triste rimpianto:

dei fuochi di legna accesi al tramonto,

per dare sollievo al corpo e alle membra,

tra canti locali dispersi nell'ombra,

al suono sgraziato di un vile organetto,

piacevole nenia per chi già a letto;

di quanti, toccati da intese cristiane,

aveano lor dato dell'acqua e del pane.


La trebbiatura


Ancor pria che tutte le stelle sian spente

ed esploda nel cielo il sole rovente,

s'avvia, con moto incrociato, del tipo formiche,

con fare veloce, il trasporto nell'aia di spiche.


Porzione di terra, scelta e tracciata,

da mesi all'oblio ed all'incuria tenuta,

abbraccia silente le spiche che lì sono nate,

tenendole al sole cocente, per esser trebbiate.


A guisa " d'armali " al circo addestrati e fatti sapienti,

entrano in pista col "massaru" asini, muli e giumenti

che saldi tenuti, pel morso, al braccio serrato,

percorrono al trotto, legati, il piano tracciato,

rubando, ogni tanto dei morsi di spiche

per dare sollievo alle strenue fatiche.


Un tiro di morso, uno schiocco di frusta nel vuoto,

ed al sincrono cambiano tosto senso di moto.


Braccia forzute attizzano l'aia senza posa;

mamma con bimbo nella tenda canta e riposa.


Il sole, in alto guardando, di molto è calato;

uomini e bestie or stanchi non hanno più fiato.


Rallenta la corsa, si alza un grido e in alto una mano:

" la paglia è già fatta, assieme alla pula c'èil grano! "

Or si leva, del massaru, la lode a li Santi

a cui fan coro alla prece tutti gli astanti:


- Ringraziamu Cristu Signuri,

ca n'ha datu di putiri finiri;

- e la Madonna Addulurata,

ca n'ha datu la bon' annata;

- e San Giuseppi sia puru ludatu,

pì avirni datu 'na manu d'aiutu;

- e ringraziamu Santu Pasquali,

lu protitturi di l'armali;

- e pi San Vincienzu Ferreri,

ca 'ni guardi di piedi d'arreri;

- Sant'Antuninu ca nni vidi e nni senti,

ca nni guardi di li mala genti;

- di lu paisi la Santa Patruna,

ca nni scansi di lampi e di trona;

- invocamu di lu cielu tutti li Santi,

ca nni mannanu acqua e nivi abbunnanti;

- e pregamu Santa Teresa,

ca nni guardi li figghi e la casa;

- a lu Santu di lu cummientu,

ca nni manni un buonu vientu;

- e ringraziamu Diu cu tuttu lu sciatu

pi la saluti e tuttu quantu cci ha datu.


La fatica del giorno è cessata,

or della notte riprende la vita.


Nell' Agorà , opera di Mano Sapiente,

per scena le stelle e la luna nascente,

latrar di mastini si senton lontani

e d' armenti all'ovile s'odono i suoni;

di rospi e di rane si leva il gracchiare;

battere d'ali di gufo intento a cacciare.


Baccano di gatti esplode a sorpresa

ad una preda venuti a contesa.

Batter d'ali nella stia si sente:

una volpe, nella notte silente,

entra a forza nel chiuso riposto

e si appropria, furtiva, del pasto.


Un rumore di froge s'ode nel vento,

di bestie dormienti che han preso spavento,

che mette ansia e paura nel cuore,

a quanti nell'aia stesi a dormire.


Sono conigli fuggiti da tane

e rincorrer di famelico cane.

Pianto di bimbo per fame palese,

un lume a petrolio a casa s'accese;

la mamma solerte lo colma d'affetto,

stringendolo forte donandogli il petto.


Or che alla notte vien meno il governo

e la vita è sul fare del giorno,

solenne il fattore sull'uscio di casa,

alla mano chi è speme sua e di sposa,

prova a mirare la gravida aia silente

ed a scrutare il cielo da nord a levante.


Si muove a ritroso e, con poche parole,

consegna alla nonna la piccola prole.


Or siede, con altri, a desinare a dovizia,

ancor pria che l'opra del giorno s'inizia.


Attorno a una tavola all'uopo addobbata

con pane ed olive e ricotta salata,

con vino, formaggio, uova a frittelle,

fave bollite e cipolle novelle.


Che grazia di Dio, il sì tanto vedere!

Per molti, è dato solo sognare

di sfamarsi anche con pane e saliva

finchè la speme per ora sia viva.


Il padre, seduto in un canto,

ha nel cuore il triste rimpianto,

che per il capo da tempo canuto

non può essere all'aia d'aiuto.


Il sole già alto, l'aurora lontana,

si leva, gagliarda, la tramontana.

Vento che d'estate si ha voglia,

per cacciare la pula e la paglia,

per dare ristoro dal sole cocente

a tutto il creato e la povera gente.


Fantocci viventi al capo coperti,

col collo fasciato e visi protetti,

al vento che spira loro di fianco

mutando la mano al polso già stanco.


Come legno nel mare , al levarsi del vento

in costanza dell'onda a riva è sospinto;

come in un gioco di squadra si lotta con grinta,

uno per tutti, perchè la partita sia vinta;

così nell'aia ci sono molti fermenti,

con forconi, ventilabri, stacci e tridenti.


Manciate di paglia prese al tridente,

lanciate in alto, pel vento costante,

planano in aria, indi nel basso,

si posan nell'aia a ridosso.


Ventilabri, levati da solida mano,

separan con cura la pula dal grano,

mentre stacci di ineguale misura,

in mani di donne, mossi con cura,

nettano il grano per le macine ad acqua

per fare farina e sfamare ogni bocca.


Irrompe inatteso un tuono lontano,

raggela la schiena, le gambe e la mano

di quanti curvati, tesi a spagliare,

che portano al cielo gli occhi a mirare.


Quel suono, per il mutare del vento,

ora è vicino e molto distinto.


Starnazzi alla stia, belare di gregge,

s'odono cani e rumori di froge.


Segni ancestrali, pur privi di bocca,

annuncian così l'arrivo dell'acqua.


Richiami di bimbi a tornare alle case,

accorrer solerte nell'aia di spose

portando ogni sorta e forma di telo:

strappare il grano alla furia del cielo.


Nei volti traspare un'ansia diffusa

per la minaccia dell'acqua inattesa.


Da vera sfortuna il pensiero vien colto

che vada perduto l'intero raccolto.


Ma come rotto si fosse un incanto,

l'ancòra tosto mutare del vento

sospinge le gravide nubi nel mare

ed il sole, che ritorna a scaldare,

riporta la gioia a tutti gli astanti

che lodano Dio e ringraziano i Santi.


Or che l'opra è ormai al passato

ed il grano nell'aia ammassato,

dopo stenti, ansie, sospiri e fatiche,

congreghe, ciarlatani e formiche,

reclaman, a diritto, ad averne una parte,

loro, che in tutto, sono stati in disparte.


Il sole tramonta in un orizzonte infuocato,

accudite le bestie, accennando un saluto,

il massaru si pone nell'aia addobbato

di come negli anni quand'era soldato:

deciso, se occorre, di fare la guerra

per quanto, con grinta, ha preso alla terra.

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Gioacchino Todaro

GIOACCHINO TODARO_poesie

 
     
Edizione RodAlia - 19/03/2018
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