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Ambito di Ricerca:Aspetti sociali, in genere
   
C'ERA UNA VOLTA
"LA DOTA"
 
La dota

C’era una volta ……. "La dota": dalla biancheria alla bollevata


La figghia ‘nta la fascia e la dota ‘nta la cascia (...come da proverbio)

immagine allegataimmagine allegata


Sin dalla nascita di una figlia, ogni buona madre di famiglia, si preoccupava subito di incominciare ad acquistare capi di biancheria, che accumulandosi anno dopo anno dovevano costituire il corredo o meglio conosciuto come la dote che ogni ragazza portava con sè sposandosi.

Capi abbastanza costosi, ricchi di ricami in bianco o a colori guarniti di pizzi, merletti e filet. Capirete che è stato sempre un problema di rilevanza quando in una famiglia ci sono diverse figlie. Acquistati detti capi (a volte di nascosto del marito), venivano riccamente ricamati e poi confezionati (allistuti), tant’è da divenire vere opere d’arte, se si pensa che tante volte per completare il coordinato di un letto a due piazze o un servizio da tavola da dodici, occorrevano tanti mesi e a volte anche anni di minuzioso lavoro di filo ed ago. Una volta questi lavori venivano fatti anche di sera alla luce di una lampada ad olio e successivamente con il lume a petrolio per lunghe ed interminabili ore (cosi mi raccontava la mia cara mamma).
 
Diversi sono i tipi di ricamo : quattrocento, gigghiuzzu, punto antico, punto croce, punto ombra, rinascimento e punto a giorno, che quasi sempre veniva fatto di sera, perché la maggior parte delle donne lo faceva ad occhi chiusi. Finita la fase del ricamo del confezionamento i capi venivano riposti ‘ni la cascia in attesa del matrimonio.Qualche mese prima di questo evento, la dote veniva tirata fuori perché doveva essere lavata e stirata; era arrivato il tempo di passare la biancheria.
Si invitavano parenti ed amici che tutti animati di buona volontà e armati di pile a una o due valate, si recavano in campagna per andare a passare la biancheria. La meta preferita era la brivatura di lu Vuoscu. Tutto quel lavoro si trasformava in giorni di festa che quasi sempre si concludeva cu la mangiatedda.

Così si svolgevano le cose tempo fa, ma poi con l’arrivo dell’acqua potabile in tutte le case, la corrente e la lavatrice, le cose sono cambiate. C’è da ricordare che oltre ai capi di corredo, veniva lavata anche la lana che dopo asciugata e carminata doveva servire per riempire i materassi: due, quattro e a volte anche di più.

Lavati ed asciugati i capi di corredo, si passava alla stiratura eseguita con dei ferri da stiro composti da una piastra e da un manico in ferro. Gli stessi venivano riscaldati sul carbone ardente e quindi passati sui capi da stirare. In assenza di questi attrezzi veniva utilizzato il ferro da stiro tradizionale a carbone, e ogni tanto qualche faidda che si sprigionava dal carbone o caduta di cenere calda, facevano danno. Stirata e piegata a regola d’arte la biancheria, veniva sistemata in dei grandi canestri perché qualche settimana prima del matrimonio c’era l’esposizione per alcuni giorni della dote che veniva visitata ed ammirata da amici, parenti e familiari dello sposo. Anticamente veniva chiamata una persona competente che doveva stimare la dote e darle il relativo valore. Dare parecchi capi di biancheria (6, 12, 16 o 18 letti completi), era sinonimo di orgoglio e di grandezza sia per i genitori della sposa che dello sposo.
Almeno cosi era una volta.

di Rino Concialdi
immagine allegata

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si suggerisce la consultazione del seguente contributo inerente al tema:

http://www.nuoveedizionibohemien.it/index.php/il-matrimonio-nella-cultura-contadina-siciliana-tra-800-e-900/



 
     
Edizione RodAlia - 01/03/2018
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