VI.
Bibliografia___________________________________________43
I.
Introduzione
“Non
si può trovare una lingua che parli ogni cosa per sé senza aver
accattato da altri”. Niccolò Machiavelli
Parlare
di lingua o dialetto è la stessa cosa . Entrambi derivati dal
Latino, entrambi sistemi linguistici complessi e variamente
articolati, la lingua italiana e uno qualsiasi dei tanti dialetti
parlati nella Penisola sono ugualmente legittimi per nascita e per
sviluppo, e ugualmente funzionali nel loro uso. Come l’italiano, i
dialetti italiani riflettono tradizioni e culture nobili ; possiedono
un lessico e una grammatica ma vi sono ad ogni modo delle differenze.
In
genere il dialetto è
usato in una area più circoscritta rispetto alla lingua, la quale
invece appare diffusa in una area più vasta.
L’espansione
di una lingua parlata su un’area geografica più ampia: il fatto
che tale lingua, divenuta lo strumento della classe dominante, possa
essere scritta dai letterati, dagli organi dell’amministrazione
periferica e del potere centrale; la circostanza che essa miri a
diventare più regolare dandosi una “norma” stabilita dai
grammatici ed insegnata a scuola: tutti questi fattori tendono a
differenziare la lingua dal dialetto.
Il
termine dialetto
(dal greco Diálektos
“lingua”, derivato dal verbo Dialégomai
“parlo”)
indica due realtà diverse:
Un
sistema linguistico autonomo rispetto alla lingua nazionale quindi un
sistema che ha caratteri strutturali ed una storia distanti rispetto a
quelli della lingua nazionale
Una
varietà parlata della lingua nazionale, cioè una varietà dello stesso
sistema; per esempio i dialects dell’anglo-americano sono varietà
parlate dell’inglese degli Stati Uniti: ovviamente tali dialetti hanno
gli stessi caratteri strutturali e la stessa storia della lingua
nazionale.
Il
dialetto, si fa strumento di interpretazione e di espressione
identificandosi come lingua dell’affettività, che non si
contrappone affatto alla lingua
italiana, ma ne costituisce, invece, uno degli aspetti che
contribuiscono a farne la lingua
nazionale.
Il
dialetto è espressione dell’anima di un popolo e come tale va
riscoperto, riva-
lutato
e valorizzato, tanto più ora che assistiamo ad una modernizzazione
della lingua, per cui si
vanno perdendo molti tratti dialettali, assai tipici e
caratteristici, una volta molto radicati nell’uso.
Lo
studio del dialetto siciliano porta a ricercare le origini della
lingua e gli influssi che
essa ha subito. Una breve
ricerca storica
rivela la sua unicità e
la sua natura multiculturale.
I
diversi popoli, che negli ultimi 2.500 anni si sono susseguiti alla
dominazione della Sicilia, hanno lasciato un’impronta indelebile
nella lingua e nella cultura
siciliana.
La parlata siciliana non deve essere
considerata come
dialetto ma come lingua a pieno titolo, per due ragioni :è nata con
il popolo siciliano, è rimasta intatta nelle sue caratteristiche e
peculiarità durante i secoli e gode della propria Grammatica e del
proprio Vocabolario.
La
lingua siciliana che tuttora si scrive e si parla, è in realtà la
lingua degli Aborigeni
siciliani.Questi aborigeni sono i
Siculi provenienti
del Lazio e i Sicani
provenienti dalla penisola iberica e dall’Africa, che incontrandosi
in Sicilia, hanno amalgamato il loro modo di vita e le loro lingue.
Non vanno
poi dimenticati gli Elimi,
un pacifico popolo di pastori e contadini proveniente dalla Libia.
Fin
dall’ottavo secolo avanti Cristo la Sicilia fu sottomessa da onde
di invasori dagli idiomi più diversi: Greci,
Fenici, Cartaginesi, Unni, Vandali germanici,
Goti di Svezia,
Arabi,
Bizantini,
Normanni
nonché Stauffer
di Svevia. Cui
fecero seguito i Romani,
gli
Angioini, i
Savoia, gli
Aragonesi, gli
Spagnoli e
quindi gli
Austriaci, i Borboni, i Francesi
e persino gli
Inglesi. È
facile capire in che misura, attraverso questi influssi, la lingua
siciliana possa essersi sviluppata arrivando ad essere quella che si
parla e si scrive oggi. Il latino incise moltissimo sulle varianti
dialettali siciliane, nonostante il greco fosse molto diffuso già
due secoli prima della conquista romana.
Con il susseguirsi delle occupazioni,
gli usi e i
costumi siciliani cambiarono, ma la lingua resto’ immutata nella
sua essenzialità anzi si arricchi’ per assimilazione di un
infinità di vocaboli derivate dalle varie lingue europee, orientali
ed africane introdotte nel puro idioma siculo.
Da lingua semplicemente parlata, la
lingua siciliana
comincio’ ad essere scritta e ad entrare negli atti notarili e nei
documenti ufficiali intorno al 1000.
Federico
II di Svevia,
nipote di Barbarossa, venne proclamato re di Sicilia ancora
giovanissimo. Essendo
stato educato molto di più in Sicilia che in Svevia, istintivamente
scelse Il dialetto siciliano come lingua nazionale.
Nonostante a corte egli parlasse un
idioma
esclusivamente franco-normanno, volle che la letteratura scritta e la
lingua poetica fossero rappresentate dal siciliano, in quanto allora
non esistevano ancora opere letterarie e trattati scientifici su
carta. In quel periodo i siciliani stupirono con l’impiego della
carta al posto della pergamena e già allora il dialetto sia scritto
che parlato non era diverso da quello di oggi.
In
questo vivacissimo ambiente culturale infatti, intorno agli anni
Trenta del XIII
secolo,
era sorta la nuova lirica cortese in volgare italiano. Gli autori,
legati alla struttura giuridica e amministrativa del Regno
meridionale, trapiantarono nel volgare di Sicilia i modelli della
lirica cortese provenzale, allo scopo di mettere a punto una lingua
letteraria capace di rispecchiare il prestigio della corte di cui
fanno parte.
Cosi’ questa lingua comincio’ ad
imporsi, con la sua
grammatica, la sua sintassi e la ricchezza dei suoi vocaboli potente
nelle espressioni, all’attenzione del mondo culturale.
A
partire dal 1250 Con
la morte di Federico
II e la
dissoluzione della corte, l’eredità della scuola siciliana venne
raccolta nel nord Italia, specialmente in Toscana, dove si venne a
formare una corrente di poeti, i “siculo-toscani”, che in seguito
avrebbe dato origine alla scuola del dolce stil novo e alla lingua
italiana che si affermò come lingua del popolo italiano, al
contrario del siciliano che fu degradato al ruolo di semplice
dialetto regionale.
I
poeti non erano più originari dell’isola e la Toscana ha ereditato
dalla Sicilia il titolo di centro creativo della letteratura
italiana. Nonostante ciò persino Petrarca
e Dante Alighieri
ammisero la preminenza della lingua popolare siciliana come prima
lingua letteraria italiana. Un
fatto molto
importante da precisare, che mentre la lingua e la letteratura
italiana si stavano formando, il siciliano ebbe un grandissimo
influsso.
II.
Il Dialetto siciliano attraverso i secoli
L’influsso
Latino (254a.c-410 d.c)
Dopo
la prima guerra punica (241
a.c),
i Romani occuparono la
Sicilia e vi rimasero per piu’ di 600 anni.
Inizialmente
la lingua dei romani, il Latino, non ebbe vita facile in Sicilia,
perchè al latino si preferiva il greco, ritenuta lingua piu’
dotta.Comunque, con l’andar del tempo e poichè i romani tennero
sotto il proprio dominio l’isola per più di 6 secoli, per forza,
il latino entrò di fatto nella parlata siciliana.
L’influenza
latina nell’isola è stata molto forte, anche se piuttosto lenta e
contrastata dalle lotte tra Roma
e Cartagine.Lo strato
della popolazione che aveva acquisito il latino, comunque, non lo
perse mai, neanche con le dominazioni greche ed arabe, ma anzi lo
rafforzo’ con diverse ondate di colonizzazione culturale.
E
cosi’ possibile rintracciare, nel siciliano, due diverse ondate di
influenza latina :
una
arcaica,
basata sul sitema fonetico
latino, con le vocali finali pronunciate sempre in maniera chiara
(non come negli altri dialetti italiani meridionali).
una
piu’ influenzata da correnti bizantine
in cui si distinguono tre nuovi caratteri:
Si
afferma:- la
metafonia
(cambio vocalico) tra Ragusa, Enna e Caltanissetta, per cui le vocali
cambiano sotto la « u »
finale come :
« muortu »
diverso dal femminile « morta »
« fierru » al plurale « ferra »
-I
gruppi consonantici« nd »
e « mb »
diventano « nn »
e « mm », come:
“quannu”
per “quando”
-La
d
intervocalica
diviene « r », come:
« Cririri »
per « credere »
Oltre
alle espressioni di origine latina che si riscontrano nella lingua
italiana, il siciliano ne conserva alcune che non si riscontrano
nell’italiano.
Il
latino incise moltissimo sulle varienti dialettali siciliane.
Dai
romani, è rimasto ben poco di questo latino antico, perchè
l’influenza latina scomparve della Sicilia molto presto a causa
della caduta dell’impero romano.
Il
latino che esiste ancora oggi, è quello che risulto’ dalla
rilatinizzazione che fecero Ruggero
IIe
FedericoII in Sicilia
e nella bassa Italia.
Ci
sono comunque ancora parole latine usate nel parlare giornaliero,
come :
Italiano
Poco
fa
L’anno
scorso
Fico
Sporco
ventaglio per le
mosche
ammonticchiare
premura
interiora
mestolo
Siciliano
Antura
Oggiellannu
Bifara
Grasciu
Muscaloru
Arrunchiari
Prescia
Stigghiola
Cuppinu
Latino
Ante horam
hodreest
nnus
bifer
crassus
muscarium
arrucchiari
pressia
extiliola
cuppa
2.
L’influsso Greco (735-254a.c)
I
Greci quando misero
piede sulle coste siciliane, parlavano quattro lingue :
Il
dorico, l’arcadio-apriotta, l’eolico e
lo ionico-attico che
infine imporrà una sua
centralità.
Secondo
lo storico tedesco Holm,
al tempo della grande spedizione ateniese contro Siracusa (415a.c),
la Sicilia aveva 4.000.000 di abitanti: una popolazione da autentica
« potenza demografica » circa 2.200.000 erano quelle
delle città greche.
Mentre
i Siculi e i
Sicani persistevano
ancora oltre il milione e
gli insediamenti fenici, da Palermo a Saluto a Mozia contavano 300
mila anime e nelle terre di Entella fioriva il piccolo e nobile
popolo siciliano degli Elimi.
Il
sistema-sicilia, malgrado questa massa demografica, esportava grani
in notevole quantità ed è certo che Siracusa ed Agrigento fossero
anche città industriali ( tessuti, ceramiche,oggettistica e
utensileria in bronzo...)
In
questo laboratorio etnolinguistico che fu la Sicilia classica, 25
secoli fa si parlavano tante lingue e tanti dialetti : siculi
e sicani,
elimi e fenici
e qui troverà forgia e forma il
« greco »,
quello di Eschilo ed
Euripide, che a
migliaia ascoltano, nei grandi teatri siciliani.
E
sarà questa la lingua in cui scrivevano in piena dominazione romana,
autori siciliani di rilievo come Diodoro,
Cecilio di
Calacte e
Sesto clodio.
La
lingua e cultura greca rappresentano in quel periodo, una delle
civiltà piu’ sviluppate e progredite.
Quando
i Greci incominciarono a stabilirsi in Sicilia, la loro cultura,
civiltà e lingua erano all’apice.
Con
i greci la Sicilia diventa la culla della civiltà :i Greci
lasciarono un’impronta indelebile nella parlata siciliana,
come :
Italiano
Ciliegia
Lombrico
scivoloso
Siciliano
Cirasa
Casentaru
allippatu
Greco
Kerosos
ges enteron
lipos
Scherzare
Pane
Arraffone
babbiari
cuddura
scarafuni’
babazo
kollira
skariphao
I
Greci fecero presa nel linguaggio parlato siciliano tanto che molti
vocaboli ed espressioni di origine greca vengono ancora usati nel
dialetto attuale senza rendersene conto.
3.
L’influsso dei Barbari (410-535 d.c)
L’influsso
dei Barbari sulla lingua siciliana non è ben documentabile.Durante
la loro occupazione si continuo’ a parlare e a scrivere in latino
e in greco.
4.
L’influsso Bizantino (535-827d.c)
ed
Arabo (827-1064d.c)
Nell’anno
535d.c,
l’Imperatore Giustiniano
fece della Sicilia una provincia bizantina e si riparlò il greco
perché la Grecia faceva parte dell’Impero Romano d’Oriente.Di
conseguenza la lingua greca riemerse con tutto il suo vigore e rimase
la lingua predominante per i prossimi tre secoli.
Verso
la fine della dominazione bizantina, la Sicilia fu presa di mira,
invasa e conquistata, in modo piuttosto sanguinoso, dagli Arabi
Saraceni (827d.c) ad
opera della dinastia degli Aghlabiti d'Africa. Retta da un emiro con
capitale Palermo, gli Arabi fecero della Sicilia il loro epicentro
commerciale nel Mediterraneo.
La
conquista araba anche se cruenta, ebbe per l'isola degli aspetti
positivi. Sotto di essa la Sicilia conobbe grande fortuna.
Dal
IX all‘XI
secolo, la Sicilia è stata assoggettata agli Arabi. Era inevitabile
che in un tempo così lungo la lingua dei siciliani si arricchisse di
espressioni usate dai dominatori nei campi più disparati, dal lavoro
ai rapporti sociali, dalla toponomastica(1)
ai nomi delle persone.
Gli
arabi vi misero per circa 3 secoli e furono loro ad introdurre in
Sicilia sistemi di irrigazione, le piantagioni di limoni, arancie,
pistacchi, meloni, papiro, ...ecc.Tant’è che molte parole
riguardanti prodotti dell’agricoltura sono di derivazione araba.
Gli
arabi, vista la loro lunga dominazione durata per tre secoli, hanno
lasciato una forte influenza nella lingua siciliana cosi’ come
quella greca che continuerà a persistere.
Per
il Prof.A Varvaro,
autore di « Lingua
e storia in
Sicilia »,
saranno le Giudecche
ebraiche a conservare più a lungo e in forme integre la lingua araba
di Sicilia.Mentre almeno fino al 1150, i siquilli ancora maggioranza
demografica e spesso ai vertici dello stato, scioglieranno
lentamente la lingua del Corano nelle parlate siculo-romanze,
contaminandole di arabismi.
Il
modello delle madrase arabo sarà adottato al tempo stesso
dell’Imperatore “Federico”
e
“Ruggero II” per
le prime università.
(1)
studio delle origini
dei nomi di luogo, di una regione, di uno stato o di una lingua.
I Siciliani però, subirono la
dominazione araba ma non
l'accettarono, ne' vi si rassegnarono mai come lo provano le cinque
successive insurrezioni (849, 912, 936, 989, 1038) che fecero
traballare la potenza musulmana.
Nel
sentimento e nel linguaggio popolare gli Arabi detti "Saraceni",
, sono rimasti come nemici, ne è prova che la lotta vittoriosa
contro i Saraceni è ancora il tema preferito nelle popolarissime
pitture che ornano i carretti
siciliani.
Diffusi
sono i nomi di origine araba per indicare delle località. Molti
toponimi iniziano con cala,
dall‘arabo qal‘at
(castello,
fortezza):
Calascibetta,
Calatafimi, Caltagirone.
Altri cominciano con gebel
(monte):
Gibilmanna,
Gibilrossa, Gibellina.
Vi
sono vari cognomi di origine araba: Badalà
e Vadalà.
(colui che appartiene
ad Allah), Fragalà
(consolazione di Allah), Zappalà
(forte per volere di Allah), Morabito
(colui che non beve vino).
Anche
la profumatisima zàgara,
che nell‘immaginario collettivo assurge quasi a simbolo della
stessa Sicilia, ha un nome di origine araba.
Altri
arabismi introdotti nel siciliano:
Italiano
Mercato
Soffitta
Cafiso
semi di sesamo
Vasca
Litigare
Cesta
Lumaca
cuscus
Siciliano
Zuccu
Dammusu
Cafisu
Giuggiulena
Gebbia
Sciarriarsi
Coffa
Babaluci
cuscusu
Arabo
Suq
Dammus
Qafiz
Giulgilan
Dijeb
Sciarr
Guffe
Babaluci
kouskous
5.
L’influsso Normanno (1064-1190)
Dopo 3 secoli
gli Arabi, per debolezza interna, furono sopraffatti in
Sicilia da
Ruggero
II d’Altavilla
che legò la
Sicilia all’Italia
meridionale .
La
corte normanna, nel XVII
secolo, al tempo del
Re Ruggero II, parlava
francese ma le lingue dei siciliani continuano ad essere scritte in
prevalenza con l’alfabeto arabo, come siculo-araba era la cifra
stilistica delle arti e il carattere della cultura.
I
Nordici ( i normanni) chiamavano Sicilienses,
tutti gli arabi di sicilia, mentre definivano Greci
tutti i cristiani .
Ruggero
II riorganizzo'
amministrativamente l'isola
dandole un saldo potere centrale e facendone il fulcro della potenza
mediterranea della stirpe normanna. Fondo' un regno assai prospero
riuscendo con una saggia tolleranza religiosa a conciliare l'elemento
arabo con quello cristiano.
La dominazione
normanna ha lasciato il suo segno contaminando il
siciliano con alcuni elementi gallo-italici.Le tracce di
quest’influenza si trovano in queste parole comuni al Siciliano e
al Toscano:
“dumani”
per domani
“vozzu”
per gozzo
Con
i Normanni entrano nella parlata siciliana molte espressioni franco-
provenzali come:
Italiano
Nominare
Possidente
Giovanotto
Salita
Ceffone
Sedia
Siciliano
Ammuntuari
Buegirsi
Picciottu
Muntata
Buffazza
seggia
Franco-provenzale
Mentaure
Borgés
Puchot
Montada
Boffa
seige
Fin
dagli ultimi anni dell’XI
secolo,
i Normanni,
ormai stabilitisi in Sicilia, promossero un flusso
migratorio ( il
più grande movimento di popolazione del Medioevo ) che prese le
mosse dal Monferrato,
dall’entroterra
ligure e
dalla zona
occidentale dell’Emilia,
e portò al ripopolamento di
una vasta area della Sicilia, compresa
tra il Tirreno e
il Canale di
Sicilia.
Le parlate galloitaliche della
Sicilia, dal punto
di vista storico conservano la fase antica delle
parlate italiane
settentrionali da cui hanno avuto origine e che per i rapporti di
chiusura o di apertura
nei confronti del siciliano dell’area
circostante rappresentano un terreno fertile di osservazione per
lo
studio dei contatti interlinguistici.
6.
L’influsso degli Svevi e Staufer(1190-1266)
Con
la fine della dinastia normanna, il regno di Sicilia passo’agli
Svevi.
Alla
morte di Guglielmo II,
ultimo monarco normanna, la corona di Sicilia passo’ a Costanza,
zia di Guglielmo II e
moglie del Re Enrico
dihofenstauffen.
Fino
all’avvento di Federico
II, figlio
di Costanza, alcuni Baroni tedeschi comandavano la Sicilia per quasi
venti anni.
Nel
1208, Federico
II di Hohenstaufen
divenne re di Napoli e di
Sicilia, fino al 1250.Sotto
Federico II(1197-1250),
formatosi culturalmente in Sicilia, l'isola raggiunse il punto forse
proprio più alto della propria potenza, diventando per certi versi
un modello di Stato assoluto ben organizzato e centralizzato quanto
al sistema di governo, ma altamente tollerante in fatto di rapporti
etnici e religiosi, ciò rese possibile la pacifica convivenza dei
gruppi latini,
normanni, tedeschi, arabi e
greci che nel corso
dei secoli si erano
insidiati nell'isola.
Federico
II, non solo
aggiunse parole tedesche al
vocabolario siciliano (non numerose comunque ), ma per lottare contro
la religione islamica che si era a suo tempo diffusa nell’isola, da
cristiano che era, comincio’un programma di rivitalizzazione della
lingua latina per tutta la Sicilia e la bassa Italia trasformando un
popolo di alfabeti (che avevano come lingua ufficiale l’arabo) in
una massa di analfabeti.
Per
questa ragione la lingua siciliana perse la rimanenza delle forme del
latino antico e acquisto’ quelle del latino ecclesiastico che era
un latino più giovane, rendendo la lingua siciliana più elegante e
piu piacevole come suono.
Secondo
alcuni studiosi, constatata l’impossibilità di poter imporre il
francese come lingua unificante alla gente di Sicilia, Federico
II trasferisce il
centro di gravità del
Regno dall’Isola multilingue al continente monolingue ed è a
Napoli che, per ragioni politico-strategiche, fonda l’università.
In
questo periodo in Sicilia si parlavano tre lingue, portatrici delle
tre civiltà che l'avevano dominata: Greca,
Araba, Latina, tanto
che Palermo e' detta
"Urbis
felix, populi dotata
trilingui";oltre
queste lingue si vide spuntare il primo germe del "volgare
eloquio"
e la città' divenne la
culla della lingua italiana .
Quantunque
breve, questo periodo lascio’qualche impronta di tedesco nel
Siciliano:
Italiano
Tanfu
Muoversi
con affanno
Pane
Risparmiare
Custodire
Pezzetto
Pergola
Siciliano
Puzza
Arrancari
Guastedda
Sparagnari
Vardari
Scagghia
Pervula
Tedesco
Tampf
Rank
Wastel
Sparen
Warten
Skalia
prieel
Le
drammatiche condizioni di analfabetismo, che perduravano ormai dalla
fine del luminoso periodo islamico, paradossalmente, proteggeranno la
Lingua Siciliana negli strati popolari, condannandola pero’ a
essere une lingua sempre piu’ povera, privata di prestigio sociale,
perseguitata in modo breve durante il Ventennio facista e in modo
subdolo negli anni della Prima Repubblica.
7.
L’influsso degli Angioini (1266-1282)
Alla
morte dell’imperatore Federico
II(1250 d.c)
, per 11 anni
la corona passo’ al figlio
del re d’Inghilterra, Edmondo
di Lancaster,
che fu poi destituito dal nuovo Papa francese che affido’ il regno
a Carlo di Anjou,
fratello del re di Francia, che la tenne dal 1266
al 1282.
Durante
questo periodo angioino la parlata francese prese piede in Sicilia
con tante espressioni che ancora oggi vengono usate.
Sebbene
di breve durata il periodo angioino contribui’ a consolidare la
parlata francese che diede al Siciliano espressioni come:
italiano
nascondere
sarto
luglio
furto
russare
lavorare
macellaio
Siciliano
ammucciari
custureri
giugnettu
scippu
runfuliari
travagghiari
vucceri
Francese
mucer
costurier
jugnet
chiper
ronfler
travailler
boucher
8.
L’influsso Spagnolo e
Catalano (1282-1860)
Una
rivolta popolare (i Vespri siciliani del 1282)
caccio’ Carlo di
Anjou,
ma la Sicilia rimase comunque in balia di uno straniero, Pietro
d’Aragona, che aveva
appoggiato la rivolta
ed i rivoltosi.
Angioini
e Aragonesi litigarono per tanto tempo e dopo la Pace di
Caltabellotta nel
1302, la Sicilia fu
assegnata agli Aragonesi.
Solo
nel 1479 la Sicilia
diventò vicereame spagnolo e rimase alla Spagna fino al 1712,
quando fu attribuita ai Savoia.
Gli
Spagnoli Borboni per 500 anni occuparono la Sicilia e le loro
espressioni si amalgamarono armoniosamente.La dominazione borbonica
fu triste per l'isola (eccetto il regno di Carlo V il riformatore),
per l'inettitudine e la perversità del re che nulla aveva capito
della vasta importanza che essa aveva assunto nella storia.
La
loro lingua si fuse in modo armonioso con quella siciliana :
Italiano
Cadere
Cortile
Lamento
Pentola
Lupara
Fidanzata
Sbagliare
Indovinare
Siciliano
Abbuccari
Curtigghiu
Lastima
Pignata
Scupetta
Zita
Sgarrari
nzittari
Spagnolo
Abocar
Cortijo
Làstima
Pinàda
Escopeta
Cita
Esgarrar
encertar
Dal
secolo
XVIII
e fino al 1443,
la lingua Siciliana gode comunque di ufficialità, prestigio e
riconoscimento.Fin
quando il Re di Spagna Alfonso
V°
unisce la Sicilia e Napoli, introducendo come lingua il
Castigliano,
mentre prende avvio la lunga “diffusione silenziosa” del Toscano
che si pone come “polo idiomatico” alternativo al Siciliano.
9.
L’influsso italiano
Dal
1516 al 1665,
la Sicilia era castigliana e avrebbe dovuto rientrare nel progetto di
ispanizzazione promosso dal Nebrija
con la sua grammatica pubblicata nel 1492.
Invece l’uso dello spagnolo, in seno al trilinguismo ufficiale, era
abbastanza ridotto, come mostrano le grammatiche di cui ben 538 sono
in italiano, 180 in latino e 189 in castigliano.
Gabriella
Alfieri, professore
ordinario di Storia
della lingua italiana all'Università di Catania,
sottolinea che queste ultime erano limitate a temi di interesse
strettamente burocratico o di costume, mentre quelle in italiano
trattavano argomenti più pratici e più vari.
Se
non era l’effetto di una consapevole politica linguistica,
l’italianizzazione in Sicilia aveva però basi concrete, ed era
motivata da:
Fattori pratici: come l’immigrazione, il commercio
con varie regioni d’Italia ed i contatti diplomatici con le Corti
dell’Italia centrale e settentrionale
Istanze culturali testimoniate
dall’influsso sempre crescente di opere letterarie toscane e di
grammatiche del volgare toscano.
Però
il processo era lento perché l’apprendimento dell’italiano
dipendeva da iniziative personali, visto che l’istruzione formale
continuava a farsi in latino.
L’uso dell’italiano negli atti
notarili fu impiegato solo nel 1652
e
l’insegnamento scolastico dell’italiano iniziò solo verso la
fine del Settecento. Un canale importante della toscanizzazione era
la religione perché dopo il Concilio di Trento, dal 1588,
i parroci ricevevano il materiale per la catechesi in italiano, anche
se poi lo trasmettevano ai soldati castigliani in spagnolo e ai
parrocchiani incolti in siciliano.
La
produzione letteraria continuò a scriversi in dialetto, ma piuttosto
in una koiné pansiciliana(2) distante dalla lingua effettivamente parlata, e
pertanto viene
interpretata come un’ aspirazione nostalgica piuttosto che
un’esigenza reale e popolare.
Tra
i primi tentativi dell’uso del toscano in Sicilia sono da
menzionare:
“un
trattato sull’agricoltura”
di A.
Venuti (1516), “Iscrizioni
lapidarie” (1525) e
preghiere come “il
Confiteor del vescovo di Patti”
(1567).
Quando
il toscano ebbe il riconoscimento ufficiale nel 1652,
non fu l’inizio di una politica linguistica (come nel regno di
Savoia) bensì sanciva una situazione che era già in atto.
(2)lingua
parlata da una comunità
linguistica che si sovrappone a una preesistente pluralità di aree
linguistiche
Naturalmente
durante il Settecento l’uso del toscano dilagava e cominciò a
penetrare anche nei livelli sociali inferiori. Con le scuole, le
biblioteche, le traduzioni, i fogli socio-politici, dizionari,
grammatiche, prediche e catechismi, l’uso dell’italiano aumentò
tanto da provocare la reazione dell’Accademia
Siciliana a Palermo
che nello statuto del
1790, redatto da
Giovanni Meli, il
maggior poeta dialettale del tempo, dichiarò che i soci avevano
l’obbligo di difendere, parlare e scrivere la lingua siciliana.
L’italianizzazione
era avanzata, ma si parlava soprattutto il siciliano, e il toscano
restava una lingua libresca di cui l’acquisizione era spesso
soltanto passiva.
Dopo
lo sbarco di Garibaldi
e delle sue mille
camicie rosse,
La Sicilia vienne annessa all’Italia.
Il
dialetto siciliano continua ad essere parlato sempre di meno.
Con
l’unificazione d’Italia e l’imposizione della Lingua italiana
ai siciliani, un altro vocabolario venne messo al di sopra di tutti
gli altri.
C’è
da dire che la lingua siciliana ha influenzato una piccola parte
della lingua italiana come spiega G.Gulino,
professore di
dialettologia nell’università
di Catania: “il dialetto siciliano, la nostra memoria storica”
Siciliano
abbuffarisi
agghiurnari
Arrè
arrusciari
basculla
buffetta
buttunera
carriari
custureri
fuméri
giugnetto
grattari
Isari
Italiano
satollarsi
far giorno
ancora
innaffiare
bilancia
credenza
fila di botto
trasportare
sarto
concime
luglio
grattuggiare
alzare
Negli
ultimi anni, per il diffondersi dei mezzi di comunicazione di massa,
soprattutto di radio e televisione, si è cominciato a parlare più
l’italiano che il dialetto. Nella parlata della gente le parole
dialettali si mescolano sempre di più con quelle italiane e a poco a
poco i dialetti scompaiono.
Secondo
Leoluca
Criscione,
presidente dell’Associazione
di Emigranti
Siciliani, “il
dialetto siciliano comincia
il suo inesorabile declino, colpito a morte dalla televisione.Questo
progressivo decadimento dell’uso della nostra lingua rappresenta un
lento suicidio culturale”
La
fonti dicono che il primo documento statale scritto del tutto in
Toscano è del 1526;
l’ultimo redatto in Siciliano
è del 1543
III.
Il Futuro della Lingua Siciliana
La
Sicilia, che dal 1946
gode di un proprio Statuto di Autonomia, mai applicato fino in fondo
dai politici Siciliani che l’hanno governata sino ad oggi, è
l’unica Regione a Statuto Speciale che non si vede riconosciuta la
propria lingua.
Quasi
tutte le Lingue regionali dello Stato italiano sono oggi tutela dalla
Legge 3366 del
25-11-1999, ad
esclusione, della Lingua Siciliana che non ha il semplice diritto
all’esistenza.Mentre è dal 1957
che
nelle scuole pubbliche di tutte le Regioni a “Statuto
Speciale”dello Stato italiano si insegna, anche se in modo
generico, la “cultura regionale”.
In
Sicilia molti corregionali dichiarano di sentirsi socialmente e
culturalmente ridotti quando parlano il dialetto.
Il
dialetto siciliano si potrebbe trovare ormai sulla via del tramonto.
Quest’ultimo
continua a testimoniare l’unicità della multicultura siciliana, la
cui particolarità risiede nel fatto che, contrariamente ai paesi di
forte immigrazione, dove la componente multiculturale nasce dalla
simultanea presenza di diversi popoli, ogni singolo siciliano
rappresenta un soggetto multiculturale.
In Siciliano:
Si
scherza in Greco
Babbiari
Babazo =scherzare
Si
sporca in Latino
Ngrasciarisi
Crassus =sporco
Si
litiga in Arabo
Sciarriarisi
Sciarra=fare la guerra
Si
lavora in Francese
Travagghiari
Travailler=lavorare
Si
risparmia in Tedesco
Sparagnari
Sparen=risparmiare
Si
uccide in Spagnolo
Scupetta
Escopeta=Fucile
Si
ruba in Italiano
Arrubbari
Rubare=rubare
Chi
parla siciliano, quindi, è come se parlasse 8 lingue:
greca,
latina, araba, francese, spagnola, catalana, tedesca e italiana.Si
puo’ pertanto sostenere che, grazie al passaggio dei popoli più
svariati sul suolo siciliano e al vero groviglio di idomi che hanno
creato, si sia sviluppata in modo autonomo una lingua cosmopolita.
In tal modo la Sicilia, spesso
disdegnata e considerata
solo come ultima appendice dello stivale, con la sua lingua racchiude
in sè il mondo.
Secondo
Noam Chomskj, padre
della linguistica contemporanea, “il dialetto siciliano è vissuto
come una lingua di ignoranti, nel quadro di una diglossia
discriminatoria e antipopolare, quando va meglio diventa fonte di
barzellette, quando va peggio, si identifica del tutto nella lingua
ufficiale della criminalità piu’ o meno mafiosa”.
Il
dialetto siciliano ha uno statuto speciale rispetto agli altri
dialetti vista la sua lunghissima storia che l’ha arricchito e che
l’ha portato al rango di lingua e non più di dialetto.Ma questo
non annulla il fatto che è una lingua considerata di basso livello
rispetto all’italiano standard, percio’ viene trascurata .
In
tal modo, la parlata siciliana rimane una via di mezzo fra lingua e
dialetto: dal punto di vista linguistico ha tutte le carratteristiche
per essere considerata una lingua a pieno titolo, visto che è stata
la prima lingua letteraria italiana, ha la sua propria grammatica ed
il proprio vocabolario ed è una lingua che si è arricchita
attraverso gli idiomi dei popoli che l’hanno abitata per secoli.
Dal
punto di vista ufficiale, la parlata siciliana è sottovalutata ed è
considerata come un mediocre dialetto .
Mario
de Mauro, Direttore
di “Terra e
Liberazione”e portavoce della “Libera Università” della patria
siciliana, afferma che “sebbene la Lingua Siciliana non sia mai
stata una lingua del potere, ha sempre avuto un proprio ambito nel
quale godeva del prestigio conferitogli dall’uso corrente.Essa si è
adattata per sopravvivere, a tutte le dominazioni” .
Sia
l’Unesco
Red Book
(Associazione delle Lingue minoritarie in Europa e nel Mondo)che
Ethnologue(Centro di
studio delle lingue minoritarie
nel mondo) e molti altri studiosi affermano che il siciliano è una
lingua distinta dall’italiano.
Secondo
lo Studio del Centro Ethnologue
di Dallas, “il Siciliano è differente dall’Italiano standard in
modo sufficiente per essere considerato una lingua separata, è
inoltre una lingua ancora molto utilizzata e si può parlare di
parlanti bilingui in siciliano e italiano standard”.
Se
a livello culturale esiste ancora oggi una fiorente attività che
ruota sul siciliano, a livello politico mancano ancora forti segni di
rilancio della battaglia per la valorizzazione della lingua
siciliana. La rinascita in questi ultimi anni di movimenti politici
sicilianisti come Noi
Siciliani
o il Partito
Siciliano d’Azione
potrebbe però riportare in auge questa tematica.
IV.
Le differenze principali fra
i Dialetti Siciliani
Introduzione
Molte
lingue europee hanno avuto il vantaggio che ad un certo punto della
loro storia, autori di grande fama hanno scritto in queste lingue,
contribuendo cosi’ alla loro normalizzazione.In questo modo nascono
delle lingue letterarie standard con cui autori di rilievo cercano di
rivaleggiare .
L’uso
sociale di tale lingue stabilisce cio’ che puo’ essere chiamato
una lingua aulica .Una lingua aulica presenta, sia nella sua forma
scritta che nella sua forma orale, delle norme accettabili.Le
deviazioni da queste norme sono più tollerate nella lingua parlata
che nella lingua scritta.
All'inizio
del XVII secolo, William
Shakespeare
(1564-1616) ha
aiutato a stabilire una lingua
aulica in inglese, usando il dialetto di Londra come standard.
Cervantes,
il suo nome e cognome erano Miguel
de
Cervantes Saavedra (1547-1616), ha compiuto
la stessa cosa per il castigliano (oggi chiamata lingua spagnola )
nei primi anni del XVII secolo.
Prima
Martin Lutero
(1483-1546)
ha fatto la stessa cosa per la lingua tedesca, e naturalmente Dante
Alighieri (1265-1321),
Giovanni
Boccaccio (1313-1375)
e Francesco
Petrarca (1304-1375)
fecero altrettanto per stabilire la lingua regionale della Toscana come
una norma letteraria
per l’Italia nel XIV secolo.
Nel
caso del siciliano, sfortunatamente pochissimi dei suoi grandi
scrittori scelsero di usarlo. Così, i tentativi per creare una
lingua siciliana letteraria erano inconseguenti e limitati ad alcuni
movimenti che fallirono ad attirare l'appoggio degli intellettuali
siciliani e dei poteri politici.
Senza questi,
non era possibile creare un'idioma siciliano letterario
intorno a cui possono stabilirsi forme grammaticali, lessicali, e
sintattiche accettabili.
Il
siciliano, dunque, è rimasto una lingua parlata per eccellenza con
forti tradizioni orali. Naturalmente, non c'è niente di negativo in
questo, tranne il fatto che la mancanza di un forte standard
letterario ha permesso ad ogni dialetto siciliano ( i parrati
siciliani ) di esprimersi attraverso norme linguistiche leggermente
diverse.
Bisogna
ritenere che la situazione dialettica della Sicilia è molto
complessa.
Molte differenze
fra le varie parlate siciliane sono fondate sulla
fonologia, cioè, sui suoni usati per articolare la lingua.
Ci
sono anche alcune differenze grammaticali, e sintattiche alcune volte
sono troppe, ma facendo la distinzione fra i princi’pi fonologici,
si puo’ largamente distinguere come un parlata differisce da un
altra.
I
dialetti della Sicilia sono abbastanza simili, anche se ci sono delle
differenze fra la zona occidentale, quella centrale e quella
orientale.
Tutti
i dialetti siciliani hanno una caratteristica comune, che è un modo
di pronunciare alcune consonanti come la D
e la R, e gruppi di
consonanti come TR,
appoggiando la lingua non sui denti, ma sul palato.
Questo
tipo di pronuncia si chiama "cacuminale".
In alcuni comuni, come Piana
degli Albanesi,
Contessa
Entellina e
Palazzo Adriano, si
parlano tuttora dialetti albanesi; in questi luoghi, infatti, alcuni
secoli fa si insediarono gruppi di persone provenienti dall’Albania
(XV secolo).
Le differenze fonologiche principali:
1)Metafonia della
vocale tematica
2) La sostituzione
della |d |con la |r|
3) La sostituzione
della |gghi| con la |gli|
4) La sostituzione
della” ci” con il suono aspirato fortemente
simboleggiato con x
5) La sostituzione di
una consonante senza voce con una consonante
con voce
6) La sostituzione
della |gghi| con |ggi| e della |Chi/cchi |con
|ci/cci|
7) La scomparsa del |g|
duro iniziale
8) La scomparsa del |g|
duro nel |gr| di grappolo iniziale
9) La sostituzione del
|gu| iniziale prima di un vocale con |v|
10)La sostituzione di |dd| con | ll |
11)La scomparsa della |r| interna con l'allungamento consonantico:
Caso #1
12)La scomparsa della |r| interna con l'allungamento consonantico:
Caso #2
13)L'inserzione di una |v |tra due vocali
14)La variazione delle vocali nella penultima sillaba quando
l'accento è sull’antipenultima
Naturalmente, non ogni parlata
siciliana presenta
le variazioni indicate prima nella maggior parte degli
esempi.Una in particolare espone solo una o possibilmente due delle
differenze.
Attraverso la seguente
mappa si puo’ indicare dove ogni divergenza
è stata registrata.
Figura
1: la mappa linguistica della Sicilia
Per indicare le
aree delle diverse parlate, occorre una mappa
linguistica e politica della Sicilia, dividendola in nove province,
con il nome della provincia rispettiva.Vedasi figura1.
Queste
province chiamate per primo con il loro nome italiano seguito dal
loro nome siciliano e poi fra parentesi, l'abbreviazione di ogni
provincia.
Messina/Missina
( MI)
Catania/Catania
( IL CT)
Siracusa/Siracusa
( LO SR)
Ragusa/Rau’sa (
IL RG)
Enna/Enna ( L'EN)
Caltanissetta/
Catanissetta ( CL)
Agrigento/Girgenti
( L'AG)
Trapani/Trapani
( IL TP)
Palermo/Palermu
o Palemmu (PA)
Fra
provincia e provincia, ma persino fra città e paesi adiacenti, vi
sono spesso differenze dialettali notevoli a seconda dei quali
dominatori stranieri vi furono stabiliti.
Citiamo
ad esempio le cittadine di:
-
San Fratello,
Novara di Sicilia, Piazza
Armerina e Aidona
dove si tramanda la lingua franco-italica :
l’italiano
“tornando”,
in siciliano “turnannu”,
diventa in franco-italiano “turnain”
“sapore” in siciliano
“sapuri”,
diventa “savor”.
-Il
nome di Francavilla di
Sicilia deriva chiaramente dai Franchi
che
la costruirono durante l’epoca normanno-sveva.
-A
Palma di
Montechiaro,
Licata e Naro :
la
“ch” –
differentemente dal siciliano – viene pronunciata dolce :
“chiavi”
diventa “ciavi”
“chiesa”
diventa “ciesa”
“chiodo”,
in siciliano “chiovu”,
diventa “ciovu”
-
A Palermo è tipica
una parlantina strascicata :
il
siciliano “furnu”
diventa qui “fuirrnu”,
mentre nella Piana
degli albanesi
i profughi qui residenti continuano a mantenere la propria lingua e
le proprie usanze: una nicchia culturale che ricorda le bamboline
russe.
2.0
La
geografia dei dialetti siciliani
I
dialetti siciliani si
possono dividere in tre larghe regioni. che sono:
Il
siciliano occidentale ( WS)
Il
siciliano centrale ( CS)
Il siciliano orientale ( ES)
Ognuno si può
suddividere a turno in dieci (10) dialetti:
Il dialetto di Palermo ( WS-1)
Il siciliano
occidentale ( ws) Il dialetto di Trapani ( WS-2)
Il dialetto di Girgenti ( WS-3)*
Il dialetto delle Madonie ( CS-1)
Il siciliano
centrale ( SC) Il dialetto di Enna-Caltanissetta ( CS-2)
Dialetto di Girgenti ( CS-3)’
Il dialetto di Missina ( ES-1)
Il dialetto del Nord-Est ( ES-2)
Il siciliano
orientale (ES) Il dialetto di del sud-est ( ES-3)
Il dialetto di Catania-Siraùsa ( ES-4)
* Girgenti la porzione occidentale della provincia
‘Girgenti la porzione orientale della provincia
Le
differenze fonologiche fra le parlate siciliane
3.1
Metafonia della vocale tematica
Metafonia vuole dire la dittongazione
della vocale
accentata. In Sicilia ci sono due aree dialettiche esibendo
metafonie, il siciliano centrale (CS), particolarmente CS-2 e CS-3, e
ES, e quello del sud-est-3.
Le trasformazioni generali sono:
|o| |uo|
|e| |ie|
Esempi
|bonu|
= bene
|pedi| = piede
( o i piedi)
Nota: Dentro la città di Palermo e le
sue aree esterne
la metafonia della vocale tematica è registrata, ma questo fenomeno
è recente. È molto probabile che la metafonia osservata a Palermo
sia dovuta alla crescente influenza dell’italiano, che presenta
metafonia delle stesse vocali tematiche.
3.2
La sostituzione della| d| con la |r|
Questa trasformazione si caratterizza dalla sostituzione della |d|con
la| r|.
A prima vista, questa
sostituzione può apparire dispari, ma la |r|
in questione nel siciliano* è prodotta da una singola agitazione
della lingua contro la cresta dell’alveolare superiore, e questo
suono rassomiglia a un specie di suono della |d|.
Questo fenomeno è conosciuto come
Rotazione, ed è la
sostituzione della |r| da un altra consonante, e comunemente presente
in entrambi il siciliano orientale (ES) e il siciliano occidentale
(WS). Esso può accadere internamente, o può concernere la ‘d’
iniziale .
* Ci sono diversi suoni distinti nel
siciliano che sono
rappresentati ortograficamente dalla |r|. Esempio: la |r| vibrante
che si fa rapidamente facendo vibrare la punta della lingua contro la
cresta alveolare superiore.
Esempi
|pedi|
= piede ( o i piedi)
|cudu| = coda
|diri| = per dire, al dire
la dentina = dente ( o i denti)
3.3
La sostituzione di |gghi| con |gli|
Questo
fenomeno linguistico accade principalmente nel siciliano centrale
(CS), più precisamente in CS-3 e probabilmente si estende in CS-2.
Esempi
|figghiu| =
figlio
|ogghiu| =
petrolio/olio
|mugghieri| =
moglie
|pigghiari| =
pigliere
3.4
La
sostituzione di ‘ci ‘con suono fortemente aspirato qui
rappresentato per x
Questo
fenomeno ha una distribuzione simile a quelli di sopra, vale a dire,
WS-3 e CS-3, ed esso si estende probabilmente in CS-2. Bisogna fare
attenzione a che la ‘x’, è usata per rappresentare questo suono
ortografico, mentre la rappresentazione fonetica si da con la| h|.
Esempi
|Ciumi| =
fiume (o i fiumi)
|Ciuri| =
fiore (o i fiori)
|Ciamma| =
fiamma
|Ciatu| =
fiato
Nota:
In alcune parlate siciliane ad esempio a Gangi
nelle Madonie,
le parole che iniziano con la ‘c’ vengono scritte con la |sci|.
Gli esempi si danno.
Esempi
|ciumi| |sciumi|
|ciuri| |sciuri|
|ciamma| |sciamma|
|ciatu| |sciatu|
3.5
La sostituzione di una consonante senza voce con una
consonante che ha voce
Questo
fenomeno linguistico concerne generalmente la ‘c’ dura e la
‘ci’(molle c).Questi suoni sono normalmente senza voce nel
siciliano ma a volte, sono espressi. Una parte dei dialetti siciliani
orientali mostra questa caratteristica. Comunque, nel siciliano
standard tali suoni sono tipicamente senza voce.
Esempi
|manciari| = a
mangiare
|sfocu| = il
sollievo
|ricordu| =
memoria, il ricordo
3.6
La sostituzione del |gghi| con |ggi| e di |Chi/cchi |con |ci/cci|
Questo
fenomeno è limitato al dialetto del sud-est ( ES-3 ), e non tutte le
parole che contengono questi grappoli sono concernate. Questa area
dialettica è celebre per la sua metafonia ed anche per la Rotazione.
Esempi
|arragghiu| =
ragli, ragliando
|occhiu| =
occhio
|tanticchia| =
un po'
|chianciri| =
al pianto
3.7
La scomparsa della |g| dura iniziale
Questo
fenomeno è molto
esteso in tutta la Sicilia ed è presente in entrambi il siciliano
occidentale (ws) e siciliano orientale (es). Questa scomparsa della
|g| dura accade anche se la |g| dura è presente tra due vocali,
cioè, la |g| dura intervocalica.
Nel
siciliano occidentale
la |g| scompare semplicemente, ma nel siciliano orientale va dietro
una /i/ consonantica quando scompare.
Esempi
|gàddu|
= gallo
|gàddina|
= gallina
|Rigàlu|
= doni, presenti
|Prigàri|
= implorare,
pregare
3.8
La scomparsa della |g| dura nel |gr| di grappolo iniziale
Cosi’
come il fenomeno
precedente, questo è distribuito anche estesamente in tutta la
Sicilia ed è presente comunemente nel siciliano occidentale (WS)
come nel siciliano orientale (ES). È certo che la forma originale è
quella del |gr| e non una altra, percio’, |ranni| deriva da |granni|
che deriva dal latino grandis/grande.
Esempi
|granni| =
grande,adulto
|grossu| =
grande
|grutta| =
caverna; |grotta| , |grassu| = grasso
3.9 La
sostituzione del |gu| iniziale prima di una vocale per |
v|
Questo
fenomeno è presente in varie aree. È
molto comune sia nel siciliano orientale (WS) che in quello
occidentale (ES).
Esempi
|guadari| =
all'occhiata
|guadagnari| o
|varagnari|* = guadagnare
|Guastari| = a
devastare, a rovinare
|Guarniri| =
ad adornare, a fornire
* Rotazione di
esposizione.
3.10 La
sostituzione di |
dd |
con |
ll|
Questo
fenomeno è presente
in varie aree, ed infatti il gruppo‘ll’ caratterizza il siciliano
vecchio.
Esempi
|beddu|
= bello, bello
|nuddu|
= nessuno, nessuno
|chiddu| =
quello
3.11 La
scomparsa della |r| interna con La
germinazione consonantica: Caso #1
Questo
fenomeno si osserva nel siciliano occidentale, specialmente in WS-1.
Normalmente, esso accade quando la |r| è preceduta da una vocale e
seguita da una consonante, come negli esempi siciliani. Quando la |r|
scompare, è sostituita dal suono della |i| seguita dall'allungamento
susseguente della consonante seguente (la geminazione consonantica).
Esempi
|purtari|
= a raggiungere
|porcu|
= maiale
|forti| = forte
|corpu| = corpo
3.12
La scomparsa della |r| interna con La
germinazione consonantica: Caso #2
Questo
fenomeno si osserva nel siciliano orientale. Di nuovo, esso accade
quando la |r| è preceduta da una vocale e seguita da una consonante,
come negli esempi siciliani. Ma quando la |r| scompare, essa è
sostituita solo dall'allungamento susseguente della consonante
seguente (la germinazione consonantica).
Gli
stessi esempi come in 3.11.
3.13
L'inserzione di una |
v |
tra due vocali
Questo
fenomeno si osserva nel siciliano occidentale, specialmente in WS-1.
L’ intervocalica ‘v’ è pronunciata come la’ v’ nello
Spagnolo, cioè, come una consonante fricativa bilabiale e non come
la ‘v’ in Inglese, che è una consonante fricativa di
labio-dentale.
Esempi
|niuru|
= nero
|autru|
= altro
|causi|
= pantaloni
|cauciu|
= scalci
3.14
La variazione della vocale nella penultima vocale, quando l'accento
è sull’antipenultima
Questa
variazione accade per le vocali non accentate nel siciliano non
articolate come quelle dell'italiano. Se la vocale della
antipenultima lo è, la vocale non accentata nella penultima sarà
una 'a', una 'i', o una 'o'.
Esempi
|monacu| =
monaco
|portanu| =
portano
|fradiciu| =
marcio
|Muzzicu| = io
mordo
V.
Andrea Camilleri
L’autore
che ha contribuito alla rinascita del dialetto siciliano
1.
Biografia
Nato
a Porto Empedocle
(Agrigento) nel 1925,
Andrea Camilleri ha
lavorato a lungo come sceneggiatore e regista teatrale e televisivo,
producendo le famose serie del commissario Maigret
e del tenente Sheridan.
In
seguito, nasce in lui anche la vena di scrittore prima di saggi sul
teatro (Pirandello in
particolare) e di romanzi di ambientazione siciliana nati dalle sue
personalissime ricerche sulla storia dell’isola.”.Inizia nel
1978, con ‘‘Il
corso delle cose’’.
Segue “Il
filo di fumo”
(1980) edito da Garzanti, ma è “La
stagione della caccia”
(1992, Sellerio)
a decretare il successo editoriale (60 mila copie vendute).
Da
quel momento la strada è in ascesa per l’autore siciliano che
raggiungerà la popolarità con le ‘storie ’del commissario Salvo
Montalbano. Il primo libro sulle sue inchieste (1994) è “La
forma dell’acqua”
escono in seguito
tre altri romanzi:’’il
cane di
terracotta’’
,’’Il
ladro di merendine’’,
“la
voce del violino’’(premio
Flaiano
1998)e « Gli
arancini di
Montalbano ».
La
particolarità di quest’autore è la sua scelta linguistica. Infatti
Camilleri volendo far rivivere il dialetto siciliano ha
avuto l’intelligenza di inventare una lingua mista fra l’italiano
e il siciliano che potrebbe essere capita da tutti ed è un modo per
introdurre e far conoscere la lingua siciliana .
2.
Lingua
In
tempi recenti il dialetto siciliano è salito nuovamente alla ribalta
grazie ad autori come Pirandello,
Verga,
Capuano,
il grande poeta Ignazio
Buttita
sino al contemporaneo Andrea
Camilleri.
Il
siciliano che oggi fa tendenza è la lingua del commissario Salvo
Montalbano,
il popolare investigatore di Vigata creato dalla fertilissima
fantasia di Andrea
Camilleri.
E' un fenomeno letterario, televisivo e anche commerciale che sta
spingendo l'interesse per la riscoperta del dialetto.
Se
si apre per la prima volta un libro di Andrea
Camilleri, subito si
nota il mélange
italo-siculo del
creatore di Montalbano
che è un'invenzione linguistica continua : Camilleri compie
un'operazione di tipo lessicale, non di sintassi. Nei suoi romanzi ci
sono dei termini dialettali ma l'impianto resta italiano.
Camilleri
è riuscito ad
inventare un dialetto
letterario inimitabile e amatissimo dal pubblico dei lettori
Questa
invenzione di un linguaggio italiano alla base ma che introduce
parole siciliane è intelligente perché ha ridato alla lingua
siciliana il suo prestigio e ha permesso a migliaia di lettori di
scoprirla .
Andrea
Camilleri parla della sua scelta linguistica dicendo: « Sono
nato a Porto Empedocle, in provincia di Agrigento, e il dialetto l'ho
molto frequentato. La lingua che uso nei miei libri non è la
trascrizione del dialetto siciliano. È una reinvenzione del dialetto
ed è il recupero di una certa quantità di parole contadine, che si
sono perse nel tempo. Cataminarisi
("muoversi"), per esempio, non viene adoperata nel
linguaggio piccolo borghese che era il nostro: era linguaggio
contadino. Tante
cose del linguaggio contadino io le immetto all'interno del mio
linguaggio, della mia scrittura. E questa è una lezione che ho
appreso da Pirandello.
Nella
sua meravigliosa traduzione del Ciclope
di Euripide in dialetto siciliano Pirandello fa un'operazione
strepitosa che è quella di usare due livelli di dialetto: uno è il
livello contadino del Ciclope, presentato proprio come un massaro:
"Chiove,
figlio mio; me ne fotto".
E l'altro è il linguaggio di Ulisse, che ha viaggiato e quindi parla
così: "Scussate,
non vorrei distrubbare ma...".
Ecco: questa è stata una lezione per me fortissima ».
3.
Il Dialetto siciliano
nelle opere di Camilleri
Un
analisi delle opere del Camilleri ci permette di notare l’uso di un
Dialetto siciliano locale e di
una varietà mista.
Il
Dialetto siciliano locale :
*Nel
discorso diretto
di vari personaggi :
-il commissario Montalbano e i suoi
dipendenti
-persone anziane e gente incolta
-gli originari dell’isola
« Vidisse,commissario, io travagliavo al bar pirchi’Maria faciva
che faciva.Io
travagliavo e mi guadagnavo u
pani pirchi` in pai`si non si doviva diri ca io campavo come ruffiano
allispaddri di me` mogliere »(Serafi ,pg35 ,Gli arancini del
commissario Montalbano).
« ...ma quelle sono case di povirazzi ! che ci arrobi ? » (il commissario Montalbano
,pg 12,Gli arancini di Montalbano).
« Veru
è ca la nonna morsi ? » (figlio della signora
Guaudenzia ,pg29,Gli arancini di Montalbano).
*Nei
termini
quotidiani come :
Càmmara =
camera Pinsèro
= pensiero
Simàna
= settimana Travagliare
= lavorare
Unni=dove Cataminarsi
= muoversi
Chianta
=
pianta Corcarsi=dormire
Fìmmina
= donna Nisciùto
= uscito
La
varietà mista :
Il dialetto siciliano che e`
intimamente integrato nel
discorso in italiano:
Quando
l'autore esprime gli stati d'animo o le azioni del commissario
Montalbano, per es.:
1 « Ancora
cento metri e il commissario di Vigatà non avrebbe avuto nulla a che
fare con la facenna
.La casa dove avevano trovato il morto era completamente isolata
.Fatta di pietre a secco, consisteva di tre càmmare
allineate a
piano terra... » (Gli arancini
di Montalbano, pg65)
2 « ...come
non gli raprii la
porta della càmmara di
letto e non rispose al suo chiamare.»Malinconicamente si spoglio’
e si corco’sul
divano del saloncino » ( Gli arancini di Montalbano, pg25).
Spesso, il
termine dialettale non e`
adattato all'italiano se si riferisce a :
- delle specialità regionali
siciliane :
« Mustazzolo di vino cotto »
«pasta fredda con pomodoro»
«vasalico`
e passuluna»
«pasta ‘ncasciata »
«tinnirume »
«petrafe`rnula »
- dei
modi di dire o espressioni:
« cinquantino»
« pigliato dai turchi
»
« rompere i cabbasisi notte
funnuta ».
Nel discorso diretto dei vari personaggi
(ladri, rappresentanti delle forze dell'ordine, ...ecc):
1 « ora ce lo conto. Fino a qualche anno passato io travagliavo nelle villette a
ripa di mare,quando
i propretari se ne andavano perché veniva il malottempo .Ora le cose sono cangiate. »(Genco Orazio, pg11, Gli arancini di
Montalbano)
2 « per
non fàrimisentiri
dagli altri.Fazio m’ha dato priciso
ordine di fari questa
tilifonata solo a lei
con lei » (Catarella, pg 23, Gli arancini di Montalbano).
Questa
piccola analisi ci permette di notare l’ingegno dell’autore che
non si è limitato a scrivere racconti polizieschi ma ha avuto il
corraggio di usare una lingua oramai trascurata da secoli e
scommettere su di essa compiendo l' innesto del siciliano sul tronco
italiano .
In
questo modo ha saputo giungere l’utile al piacevole: i lettori non
siciliani scoprendo i suoi racconti imparano il dialetto siciliano.
Il
nuovo linguaggio inventato da Camilleri è un
siciliano ibrido,
comprensibile anche ai
“nordici” seppure con un minimo sforzo.
La
scrittura di Camilleri ruota attorno a tre ingredienti fondamentali:
l’ambiente, i personaggie
il linguaggio a cui
c’interessiamo.
L’ambiente
è quello siciliano e Vigata è la cittadina, in cui si sviluppano
tutte le vicende, i personnaggi sono frutto della sua invenzione
ironica ed è naturale che i suoi personaggi parlano il dialetto.
Infine
, grazie alla sua «
genialità »,
Andrea Camilleri ha contribuito a far rinascere il dialetto siciliano
o al meno a farlo riscoprire dai giovani grazie al suo personaggio
il commissario Montalbano, le cui storie sono state sceneggiate e
vengono trasmesse spesso in televisione.
Conclusione
Andrea
Camilleri, come già
detto, non è l’unico autore che ha scritto in dialetto ma tanti
altri autori l’hanno preceduto o anche susseguito
come Vincenzo
Consolo,
Stefano
D'Arrigo
ed altri .Ciascuno
al suo modo ha usato il dialetto per trasmettere il suo messaggio
letterario.
La
Sicilia acquista un carattere: solonne per il
duca di Lampedusa,
astratto per Pirandello
e critico per Sciascia
.Ma i romanzi di
Camilleri hanno una forma letteraria che trasmette un ambiente, un
carattere, la vita di un popolo.
Un
esempio di autore il cui
stile è paragonabile a Camilleri, è Carlo Emilio Gadda.
In
Camilleri, come in
Gadda, c’è un mescolarsi di stili e di registri, e c’è il
dialetto che reclama la sua autonomia .Ma con una differenza
sostanziale: Camilleri è un Gadda addomesticato, il suo siculo è
siculo soltanto in apparenza, infatti, come è stato detto prima, pur
introducendo qualche termine dialettale la sostanza della lingua
rimane quella dell’italiano standard.
Ma
questo ritorno alla lingua dei padri, se non addirittura dei nonni e
degli avi, non si spiega solo con un caso editoriale, che prima di
Camilleri aveva avuto altri interpreti autorevoli.
Rilevante
e' stato in questi anni soprattutto il contributo della ricerca
scientifica, un lavoro promosso da oltre mezzo secolo dal
Centro di studi filologici elinguistici
siciliani,
conclusosi con la pubblicazione del quinto e ultimo volume del
vocabolario siciliano. Il progetto prevede una tappa successiva, un'
edizione minore del dizionario.
Vede
cosi' la luce un'opera unica nel suo genere che, sottolinea Giovanni
Ruffino,
preside della facoltà di Lettere dell' Università di Palermo, è
stata realizzata con l'apporto di studiosi e ricercatori dei tre
atenei siciliani.
Il
vocabolario raccoglie trentamila lemmi il cui significato e' stato
ricostruito con il contributo di una rete di informatori locali.
Il
vocabolario e' cosi' diventato anche un fondamentale strumento che
ricostruisce la storia e il patrimonio linguistico della Sicilia,
considerata dagli studiosi la ''culla della piu' antica tradizione
lessicografica''.
Il
dialetto siciliano ha una relazione stretta con la
stratificazione di tantecivilta':
dai bizantini in poi gli apporti linguistici si sono aggiunti ai
precedenti, li hanno integrati e in qualche misura rimpiazzati.
Il
ritorno a questa lunga tradizione puo' apparire sorprendente in un'
epoca in cui la lingua italiana ha esteso, con il ruolo determinante
della televisione, la sua influenza a volte omologante. Ma il
linguista Giovanni
Ruffino
ritiene che questa ripresa del dialetto sia facilmente spiegabile:
''Ormai si ritiene che la lingua sia definitivamente salva e percio'
c'e'maggiore
disponibilita' a esplorare le radici della propria storia e
tradizione linguistica. Non e' poi da sottovalutare la parte svolta
dalla scuola e dall'universita' e l'influenza della letteratura di
nuova generazione''.
VI.
Bibliografia
Libri
G.Rohlfs,
Grammatica storica
della lingua italiana e dei suoi dialetti, ed:Einaudi,
1970
A.Varvaro,Lingua
e Storia in Sicilia,ed:Sellerio
di Giorgianni, 2000
G.Piccitto,
Per un moderno
vocabolario Siciliano, Università
di Catania Biblioteca della facoltà di Lettere e Filosofia,1950
A.Holm,
Storia della Sicilia nell’antichità,ed:Garzanti,
1901
L.Criscione,
Conferenza sul
tema”Origini e valore multiculturale del dialetto siciliano, una
lingua unica al mondo”, Basilea
09/02/2000
Articoli
Terra e
Liberazione:
”La
nostra lingua tagliata....libirtà ri sprixioni”, Autunno2001
“La lingua
siciliana e il ritratto del Duce”, marzo 2001
Ethnologue
XIV Edizione,
Languages of the worlds, 2003
F.Renda,
“Insegnare a scuola
il siciliano: la proposta”
La Repubblica10/12/2000