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MAROCCO, TERRA DI ACCOGLIENZA O DI TRANSITO?
 

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Amira-Ghéhanne Khalfallah  

Casablanca.
Il 24 aprile scorso, un uomo è rimasto bloccato per diverse ore, aggrappato a una rete di filo spinato mentre cercava di superare una barriera alta nove metri, il muro-frontiera che separa il Marocco da Melilla, ultimo ostacolo da superare per ritrovarsi in Spagna. Hassan David, della Costa d’Avorio, vive in Africa e sogna l’Europa. Nel tentativo di raggiungerla si è trovato bloccato in un lembo di terra che separa la sua miseria da un’“ipotetica” salvezza. Quest’uomo, privo di documenti, si è unito all’assalto dato alla frontiera da un gruppo di un centinaio di migranti che non potevano più restare nei campi di fortuna della tristemente celebre foresta di Gourougou (vicino a Nador). Certamente non si tratta di un caso unico, ma consente di fermarci a pensare e ad ascoltare.

In Italia il Marocco viene generalmente pensato come un paese di emigrazione. In realtà non si tratta né di un paese di emigrazione in senso stretto né di un paese di accoglienza: il Marocco è soprattutto un paese di transito migratorio. È l’ultimo avamposto che separa l’Africa dall’Europa e diversi Sub-Sahariani che sognano l’Europa vi si trovano bloccati spesso per molti anni, ridotti a mendicare e a prostituirsi. Questi africani in terra africana devono ogni giorno affrontare atteggiamenti di razzismo e rifiuto. Dal 31 dicembre scorso, il re del Marocco ha deciso di regolarizzare la situazione dei sub-sahariani bloccati nel suo territorio. Secondo il Ministro dell’Interno, da allora, sono state presentate tra le trecento e le quattrocento richieste di regolarizzazione al giorno, cifre che mostrano l’entità del dramma. Tra le misure più importanti prese, spicca la decisione del Marocco dello scorso 20 giugno, in occasione della giornata mondiale dei rifugiati, e dopo anni di negoziati, di portare a termine l’accordo con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (HCR) riconoscendone lo statuto. Questo consente a HCR di adempiere pienamente al suo mandato nel Paese e implica che il Marocco riconosca ai rifugiati presenti sul suo territorio il diritto di soggiorno e i diritti della persona. Tale situazione permette tra l’altro di arginare la problematica del lavoro nero e la scolarizzazione dei bambini in età scolare.

Non si deve perdere di vista il fatto che il Marocco gioca il ruolo di transizione migratoria e che la maggioranza dei migranti che si trova sui suoi territori ha come unica speranza quella di attraversare il Mediterraneo. Per questa ragione il Regno del Marocco ha ratificato un partenariato di mobilità con l’Unione europea fissando un insieme di obiettivi politici e prevedendo misure di garanzia per una buona gestione della mobilità delle persone. Nell’ambito di queste iniziative, l’UE e il Marocco hanno avviato delle negoziazioni per arrivare a un accordo che faciliti le procedure di concessione dei visti per alcune categorie di persone, come studenti, ricercatori, uomini e donne d’affari. Stanno inoltre riprendendo i negoziati su un accordo di riammissione dei migranti irregolari.

La libertà di circolazione fa parte dei diritti delle persone, ma gli Stati si fanno beffa di questo principio fondatore della nostra società moderna senza turbare più di tanto. Le persone, non importa di quale nazionalità, religione, colore di pelle, hanno sempre sognato di andare altrove, di scoprire, di parlare un’altra lingua, di incontrare altre persone, di trovare migliori opportunità di lavoro. Oggi vengono scritte delle leggi per uccidere i sogni: viviamo una situazione inedita nella storia dell’umanità. A interi popoli e a diverse generazioni viene impedito di viaggiare liberamente a causa della loro provenienza nazionale e viene imposto di costruire la propria vita in un territorio circoscritto da frontiere geografiche, culturali, religiose, mentre il radicalismo aumenta. I visti e la chiusura delle frontiere sono meccanismi che alimentano tutti i giorni la paura dello straniero e l’odio.

La frontiera tra Marocco e Algeria è chiusa, e il Marocco si trova a guardare a un’Europa sempre più ermetica; a Sud, il Fronte Polisario fa da schermo e la costa atlantica offre migliaia di chilometri di deserto e di mare…Come aprirsi agli altri se non si conoscono nemmeno i propri vicini? Queste frontiere restano impermeabili agli scambi culturali, solo le merci continuano a circolare. Ai marocchini serve un visto per recarsi in Egitto, un altro visto per gli Emirati Arabi Uniti, un altro ancora per l’Arabia Saudita… Il mito di un’unione del mondo arabo è un inganno che ha attraversato la storia e non le frontiere.

La libertà di circolazione è inscindibile dal denaro. Solo alcuni fortunati possono continuare a viaggiare e ad apprendere: chi non ha i mezzi è invitato a restarsene a casa. Questo si verifica anche tra paesi africani: un marocchino può andare in Kenya ma deve versare 50 dollari di spese per il visto, che diventano 66 se vuole recarsi in Mozambico…La lista è lunga. Dall’Africa all’Africa, dall’Africa al continente americano, le frontiere sono chiuse. Ogni paese tiene i suoi cittadini all’interno delle sue frontiere. In Europa c’è solo uno Stato che fa eccezione e resta aperto ai Magrebini, si tratta del Kosovo. C’è poi l’eccezione turca, ovvero non è richiesto il visto ai Marocchini che si recano in Turchia e altrettanto vale per i Turchi che vanno in Marocco. Un Marocchino può anche facilmente recarsi in Brasile o in Malesia. In realtà, l’equazione è molto semplice: più la destinazione è lontana e inaccessibile ai poveri, più le frontiere sono permeabili. Non si sono considerate abbastanza le ripercussioni a lungo termine di queste misure che sono un attentato alla dignità umana e rendono squilibrate le nostre società, creando terreno fertile per gli estremismi.

Traduzione dal Francese di Stefanella Campana
by Babelmed
05/07/2014



 
     
Edizione RodAlia - 07/07/2014
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