Il
2011, l’anno della “Rivoluzione
dei gelsomini” è stato un anno nero per l’economia tunisina in
generale, ma ancor più per il turismo, settore chiave da decenni per
il paese, con lo Stato come attore principale nelle iniziative e
negli investimenti. Eppure le molte analisi sull’evoluzione della
Primavera araba hanno sottovalutato il forte impatto che la crisi del
settore sta determinando non solo sullo sviluppo della Tunisia ma
anche sui suoi riflessi politici e sociali. “Rivolution without
Revolutions? The challenges of tourism sector in Tunisia”, la
pubblicazione curata da Rosita di Peri, docente all’Università di
Torino, Dipartimento di Cultura, Politica e Società e Raffaella
Giordana, project manager nel turismo all’Istituto Paralleli, colma
questo vuoto attraverso i contributi di esperti, tra cui il tunisino
Ammar Aloui, co-fondatore di Simfec, società tunisina di consulenza
nel settore, che risponde a molti pressanti interrogativi: in che
misura il turismo ha stimolato uno sviluppo coerente e armonioso del
paese? La governance di questo settore che in modo diretto o
indiretto dà lavoro a 432 mila persone, ha consentito oppure no di
massimizzare le potenzialità della Tunisia? Quali le sfide del
futuro per lo sviluppo del settore e quindi del Paese attraverso il
coinvolgimento attivo delle comunità locali?
Dopo
oltre due anni dalla rivoluzione
che ha destituito il dittatore Ben Ali, la Tunisia vive ancora una
situazione di grave insicurezza e poca chiarezza politica, aggravata
dai recenti assassini di personaggi politici di spicco
dell’opposizione come Chokri Belaid e Mohammed al Brahimi (il
governo accusa per entrambi i delitti Boubakr Hakin, trentenne nato
in Francia, trafficante di armi e noto per le sue simpatie e legami
jihadisti). Gli estremismi hanno portato lontano milioni di turisti e
provocato gravi perdite di lavoro e di reddito. Dal 2009 al 2011 il
numero dei turisti che ogni anno soggiornavano in Tunisia sono scesi
da 6,9 milioni a 4,7 mentre contemporaneamente gli altri paesi
mediterranei concorrenziali registravano un aumento di presenze. Il
saggio ha un filo conduttore che lega le varie analisi: indagare se
il turismo ha favorito lo sviluppo democratico nella Tunisia pre e
post Ben Ali che aveva introdotto incentivi per gli investimenti
stranieri, zone free-tax nel Paese, privatizzazione di interi settori
dell’economia, perseguendo nello stesso tempo la secolarizzazione
del Paese e la repressione dell’Islam.
Se
è indubbio che il turismo ha
giocato un ruolo importante nello sviluppo del paese nondimeno ha
generato anche delle contropartite negative. Secondo Ammar Akloui: la
divisione tra tunisini in due classi, la borghesia affarista e il
resto della popolazione, la dipendenza finanziaria dal capitale
internazionale e l’inflazione provocata dalla domanda. A questo,
aggiunge, i costi dell’ambiente, con la mutilazione della zona
costiera, tra l’altro attraverso l’espropriazione a prezzi
irrisori di terreni “per causa di utilità pubblica” che non è
andata a profitto della collettività ma di una minoranza di
promotori privati, con conseguente abbandono dell’attività
agricola. Senza contare che per la comunità nazionale il costo
dell’inquinamento provocato dal turismo, con una media annuale di
150 mila tonnellate di rifiuti, è molto alto.
Ammar
Akloui analizza anche l’impatto
sui giovani e sulla cultura locale non sempre positivo, come la
svalorizzazione dei propri valori culturali e il diffondersi di
patologie sociali (prostituzione, alcolismo, delinquenza giovanile,
disintegrazione della famiglia), che hanno finito col dare fiato alle
correnti tradizionaliste del Paese. Ma è indubbio che il turismo è
anche una fonte di scambi positivi tra culture, nazionalità,
religioni, coscienze e ideologie se avviene su un piano di rispetto
reciproco.
Il
turismo ha favorito una Tunisia a
due velocità dove gli investimenti e le infrastrutture si sono
concentrati soprattutto nel Nord-Est provocando un grande gap con le
restanti regioni, con un rallentamento dello sviluppo che è andato
aggravandosi tanto da provocare le proteste del 2011. Tuttavia i dati
della seconda metà del 2012 forniti dalla Banca centrale tunisina
forniscono anche alcuni indicatori positivi per l’agricoltura e il
turismo nonché per le rimesse degli immigrati con una crescita del
paese del 3,3%. Ma restano quelli negativi della bilancia dei
pagamenti, della liquidità del mercato, del livello dei prezzi al
consumo e della crescente disoccupazione tra i diplomati e laureati.
Nemici
dello sviluppo del turismo, leva
importante per l’economia della Tunisia, sono l’insicurezza e la
violenza, il terrorismo e il fanatismo che hanno preso piede nel
Paese. Resta ora da vedere se l’apertura di questi giorni del
governo formato a maggioranza dal partito islamista Ennahda nei
confronti dei partiti dell’opposizione per un governo di salute
nazionale possa ridare stabilità e sviluppo alla Tunisia. Anche i
turisti che amano questo Paese che si affaccia sul Mediterraneo,
ricco di storia, bellezze naturali e cultura, lo sperano. E
soprattutto i tanti tunisini che dal turismo traggono una fonte di
reddito. Un turismo che si vuole compatibile con la cultura,
l’ambiente e le persone che ci vivono.