Ambito di Ricerca:Le relazioni positive tra le diversità
DIVERSITÀ COME VALORE AGGIUNTO?
Siamo tutti unici
dalla nascita in quanto diversi; ognuno con le sue caratteristiche
fisiche, mentali e affettive. E' questa una fortuna per tutte le
società che si formano, crescono e si esprimono attraverso questa
diversità.
Ogni comunità, elaborando poi i suoi sistemi di coesistenza
socio-politica, espressi in convenzioni, norme e consuetudini,
aggiunge, come valore di qualità e di distinzione, la sua cultura e la
sua civiltà.
Partendo da questo presupposto, è lecito chiedersi: in quale misura le
dinamiche di relazione e di comunicazione tra gli individui di una
stessa comunità sono favorite od ostacolate dal carattere della
diversità?
La comunicazione si esprime attraverso una varietà di linguaggi, di cui
è parte quella verbale, che origina la forma del dialogo. Il dialogo si
sostanzia dell'alterità dei protagonisti che si scambiano messaggi
verbali e non verbali, una volta che esso sia stato avviato.Ma per
avviarlo, la diversità dei soggetti deve trovare una comune base di
intesa, una empatia che può essere pura e semplice oppure sostenuta da
un particolare interesse che giustifichi l'incontro di relazione.
I soggetti dell'intesa, pur non rinunciando all'unicità che
caratterizza la propria personalità, contribuiscono a creare una
relazione comunicativa destinata ad essere di breve o di lunga durata,
in quest'ultimo caso, nasce l'amicizia o addirittura uno slancio
affettivo più profondo.
Ad ogni modo, si tratta di un processo complesso, anche se
apparentemente e semplicemente istintivo: entrano in gioco componenti
personali come i sensi, l'intelletto, la sfera emotiva ed affettiva.
Ed è attraverso queste facoltà che l'individuo elabora i presupposti
per avviare e poi sostenere un dialogo tra diversi, da cui nasce nella
migliore delle ipotesi un qualcosa di nuovo (un pensiero, una
convinzione..) che non appartiene né all'uno né all'altro dei
protagonisti. In tal caso, l'approccio al diverso è foriero di
arricchimento e di insegnamento: si impara a vedere le cose da un altro
punto di vista prima non considerato.
I “diversi”, via via, diventano “meno diversi”, allorchè si accorgono,
attraverso l'esperienza di vita condivisa oppure attraverso
l'osservazione di dati di fatto reali, che alcune negatività imputabili
alla diversità in precedenza avvertita, hanno lasciato il posto ad
atteggiamenti positivi di disponibilità, accoglienza, simpatia e
cooperazione.
C'è un altro strumento che attenua la diversità tra gli individui: è la
cultura, sinonimo di conoscenza e di educazione delle proprie capacità
e facoltà a pensare in maniera più aperta e tollerante.
Pensare in positivo è la chiave giusta per valorizzare le potenzialità
dei cosiddetti diversi, perchè ciascuno di essi ne ha di latenti, se
non evidenti. Ne ha perfino chi è affetto da gravi handicap fisici o
psichici; ora, lo definiamo, infatti, diversamente abile.
Ed allora, bisogna rivedere e considerare da un nuovo punto di vista lo
spirito di relazione, improntato alla ricerca del dialogo sia con i
“diversi” conterranei, sia con i “diversi” italiani, immigrati da altre
regioni, sia soprattutto con gli immigrati extra-nazionali che, in
veste di forza lavoro, accogliamo più o meno volentieri nel nostro
territorio.
Per la comunità di accoglienza, sulla spinta di atteggiamenti di
sorprendente curiosità iniziale, criticata a priori come invadente e
non in linea con i canoni di estetica e di ordinaria prassi locale, si
trasmettono messaggi verbali e non verbali che sanno di diffidenza, di
ostilità e talvoltà di disprezzo.
Così che pregiudizi, false credenze e luoghi comuni su tutto e su
tutti, non mancano e non mancheranno di esserci, seppure non in forma
generalizzata, nelle diverse comunità sia italiana che straniera; ma
sono soltanto miserie nella mentalità delle persone colte e
intelligenti che, nei fatti, sanno dar prova di integrità e civiltà al
pari dei nativi italiani.
Purtroppo, grande è la loro sofferenza perchè a dolore si aggiunge
altro dolore: quello, causato dall'abbandono della propria terra
d'origine, dove restano alcuni affetti familiari e dove si lascia il
proprio retaggio di lingua, di tradizioni e di cultura; quell'altro,
causato dallo spaesamento in località ed ambienti, di cui non si
conosce la lingua, dove è difficile adeguarsi a tante novità di
convivenza sociale, codificate in regole e norme da rispettare, dove è
un sogno avere un' abitazione decente a modico prezzo, dove è quasi
impossibile, oggi giorno, trovare lavoro.
Negli ultimi tempi, in Italia, sul fenomeno migratorio proveniente
dall'area africana ed Est europea, soffia un vento di negatività che
limita o blocca del tutto ogni slancio di apertura e di disponibilità
all'accoglienza.
A ciò contribuisce il diffuso stato d'animo di paura e di sgomento
causato da alcuni atti di delinquenza e di violenza che, imputabili ad
una stretta cerchia di immigrati, sono riportati dalla cronaca.
E' arduo parlare di inserimento e di integrazione degli immigrati se,
sia da parte di chi arriva sia da parte di chi accoglie, non si cominci
a rimuovere gli ostacoli alla realizzazione di tali obiettivi.
Agli immigrati si possono attribuire tante manchevolezze, ma ad essi
non manca certamente il senso dell'orgoglio e la voglia di migliorarsi
a tal punto da adire lo stato di cittadinanza.
Sentimenti, tuttavia, che resteranno repressi fino a quando essi non si
libereranno dall'ossessione della sopravvivenza quotidiana; a stomaco
vuoto poco o nulla si può fare: per questo, non ci sarà tempo e
disponibilità per migliorare la propria istruzione, né elevare il grado
di cultura che è di grande aiuto a capire ed apprezzare gli aspetti di
civiltà del Paese di accoglienza.
Considerato che il processo di globalizzazione sarà inarrestabile, è
necessario che le forze politiche, che governano le varie comunità,
progettino percorsi di formazione culturale per nativi ed immigrati, in
forza dei quali si predispongano adeguate strutture, si favoriscano
eventi di aggregazione sociale, si promuovano iniziative al fine di
valorizzare in maniera tangibile anche la ricchezza delle potenzialità
dei singoli immigrati che interagiscono con gli Italiani non più da
stranieri, ma da ”connazionali”.