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Comunità . Località: PALERMO (Sicilia)
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Palermo_3: un intreccio di culture -I tesori del Re
 

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La Torre pisana e il Palazzo rinascimentale, ora sede de Governo regionale.

 

 

 

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la Cappella Palatina

 

 

 

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by afrancesco87 on www.Flickr.com

 

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La chiesa di S. Maria dell'Ammiraglio, detta anche "la Martorana".

Di rito greco-ortodosso, in epoca normanna; di rito latino, nel 1200; di rito cattolico-bizantino a partire del 1937. Fa parte della diocesi di Piana degli Albanesi.

 

Delle fatiche edilizie promosse dai nobili abitatori di cui porta il nome, il Palazzo dei Normanni conserva all'esterno ben poco dopo i radicali interventi dei viceré spagnoli. All'estremità destra della facciata che prospetta su Piazza vittoria,la Torre Pisana spicca per la nitidezza e la bellezza dei volumi. Delle quattro costruite da Ruggero II, è l'unica sopravvissuta nelle trasformazioni subite dall'edificio. Nel 1921 al suo interno si scoprì, al primo piano, una stanza dei Tesori, circondata da cammini di ronda per le guardie, con interrate nel pavimento quattro giare per contenere monete d'oro. Sopra, venne alla luce la grande sala che oggi è l'ufficio del presidente della Regione Sicilia e conserva intatta la maestosità originaria - è alta 15 metri - ma solo minimi frammenti dei mosaici che un tempo la decoravano.

Anche se nelle giare le monete non tintinnano più, l'interno del palazzo riserva ugualmente splendidi tesori. La stanza di re Ruggero innanzitutto, negli appartamenti reali. "Algiawahariyyah", l'adorna di pietre preziose, fu detta per la lucentezza e la ricchezza dei suoi mosaici. I motivi naturalistici stilizzati, i rilucenti pavoni affrontati davanti a una palma hanno origini lontane nel tempo e nello spazio. La Persia, Bisanzio, addirittura la tarda antichità romana, filtrate attraverso esperienze dell'arte araba.
Ancora più straordinaria, per la compresenza dei modi figurativi dell'Occidente e dell'Oriente cristiano e del mondo musulmano, appare la Cappella Palatina, che Ruggero II fondò l'anno della sua incoronazione al centro della reggia.

 

Le colonne, che dividono in tre navate la basilica triabsidata, sorreggono con fusti e capitelli antichi, o a imitazione dell'antico, archi arabi. I mosaici che rivestono la parte alta delle pareti, le absidi e la cupola, furono eseguiti da maestranze bizantine chiamate a Palermo per l'occasione. Si accompagnano al più vasto ciclo pittorico islamico pervenutoci, quello dipinto sul soffitto ligneo della navata centrale, intagliato a "muqarnas", la decorazione a "stalattiti" tipica dell'arte islamica. Di straordinaria ricchezza creativa, è una glorificazione profana del principe, che funge da contraltare "laico" alla celebrazione del Cristo signore del Creato dei mosaici del presbiterio. Come nei palazzi islamici, alle scritte augurali in caratteri cufici si alterna l'illustrazione dei piaceri e degli svaghi della corte: i musici, le danzatrici, le partite a scacchi, la caccia, la conversazione, accompagnati da un bestiario reale e immaginario di buon auspicio. Tutto difficilmente individuabile dal basso, dove si percepisce l'effetto d'insieme di un raffinato drappeggio, un tempo rilucente d'oro.


Più consoni al luogo (siamo in una chiesa cristiana, non dimentichiamolo!) appaiono i racconti dei mosaici. I più antichi sono quelli del presbiterio, realizzati secondo l'iscrizione greca alla base della cupola nel 1143, anno di consacrazione dell'edificio. Raffigurano il Cristo Pantocratore (Signore del Creato), gli evangelisti, la Vergine e alcuni episodi del Vangelo che ben esemplificano il soffio di vivacità che l'arte bizantina ricevette in terra di Sicilia. I mosaici della navata centrale, iniziati una decina di anni dopo, raccontano le storie del Vecchio Testamento, accompagnate da iscrizioni latine. Più tardi sono quelli navate laterali, con storie di S. Pietro e di S. Paolo.

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Iscrizione cufica (antichi caratteri arabi) sul soffitto della Cappella Palatina

 

 

 

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Intagli a "muqarnas", decorazione a stalattiti tipica dell'arte islamica.

 

 

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Mosaici nella Chiesa della "Martorana"

 

 

La chiesa dell'Ammiraglio

 

«Una delle cose degli infedeli più degne di nota da noi qui osservate, è la chiesa dell'Antiocheno. Noi la visitammo il giorno di Natale, che è giorno di festa solenne per i Cristiani, e la trovammo piena di grande concorso di uomini e donne. Vedemmo tale costruzione a cui ogni descrizione vien meno, ed è indiscutibile che essa è il monumento più bello del mondo. Le sue pareti interne sono tutte dorate, hanno lastre di marmo a colori, di cui mai si son vedute l'eguali, tutte lavorate a mosaico in oro, contornate di fogliame in mosaico verde. Dall'alto si aprono finestre in bell'ordine, con vetri dorati che acciecano la vista col bagliore de' loro raggi e destano negli animi una suggestione da cui Dio ci tenga lontani. Ci venne riferito che il fondatore di questa Chiesa, dal quale essa prende nome, vi abbia speso dei quintali d'oro. Egli era il visir del nonno dell'attuale Re politeista. Questa chiesa ha un campanile sorretto da colonne di marmo di vario colore; esso è fatto a cupole (piani) sovrapposte l'una all'altra, tutte a colonne, onde è chiamato Campanile delle colonne. E’ questa una delle costruzioni le più maravigliose che veder si possa. Dio col suo favore e coll'opera sua generosa lo nobiliti presto colla chiamata del muezzin».

Questa ottava meraviglia del mondo, che con la sua bellezza turba l'animo devoto di Ibn Giubair, esiste ancora a Palermo, anche se nei secoli è trasformata in un pittoresco pastiche di stili diversi. Tutti la conoscono come Martorana, o anche come S. Maria dell'Ammiraglio, cioè del «visir» di Ruggero II, Giorgio d'Antiochia, che la eresse nel 1143. Sorge in posizione dominante su quello che fu in epoca medievale il centro civico della città, il «piano di S. Cataldo». Oggi si chiama piazza Bellini e, nei pressi dei Quattro Canti, si apre su via Maqueda subito a ridosso della bella piazza Pretoria, sede del potere cittadino in età moderna per la presenza del palazzo delle Aquile che ospita il municipio.

La Martorana ha una facciata barocca sul fianco sinistro, ma l'ingresso è dal campanile, lo stesso descritto da Ibn Giubair, anche se ora manca della cupolette terminale e gli ordini superiori intagliati da colonnette furono forse rifatti nel '300. Nell'interno la messa è officiata secondo il rito greco-bizantino (dal 1937 la chiesa è concattedrale della diocesi di Piana degli Albanesi) e le prime campate che si percorrono sono quelle che hanno sostituito l'antico portico, dove un tempo si riuniva la magistratura della Corte Pretoriani. Oltrepassato il muro della facciata originaria, si è nella primitiva struttura a tre navate, che restauri moderni hanno in parte liberato da aggiunte. Una fortezza quadrata munita di quattro porte. Era la dimora degli emiri, dove vivevano difesi dalle proprie truppe, in riva al mare, nei pressi dell'arsenale navale. «Al-Halisah», l'eletta, suonava il suo nome in arabo. Da esso derivò quello di Kalsa con cui ancora oggi si designano un quartiere e una piazza palermitani, compresi tra il lungomare del Foro Italico e gli splendidi esemplari di «ficus magnolioides» che con le loro radici aeree sono l'attrazione del giardino Garibaldi. In questo caso lo scorrere del tempo è stato impietoso, e l'abbandono è lo scenario dei vicoli sopravvissuti agli interventi di tre-quattrocenteschi che cercarono di "mettere ordine" nell'originario intrico di vie. A monte del quartiere, un squarcio prodotto dai bombardamenti preannuncia la chiesa della Magione, anch'essa molto danneggiata dalle bombe e parzialmente ricostruita. Fu uno degli ultimi prodotti degli artisti fatimidi, fondata nel 1191 dal cancelliere del re normanno, Matteo d'Ajello. Quando salì sul trono di Sicilia, dopo la morte senza eredi di Guglielmo II, l'imperatore Enrico VI la concesse ai Templari che, con il compito di tutelare le minoranze tedesche nell'isola, ebbero qui la loro «mansio», o appunto magione.

«Se son stato cacciato da un paradiso...»

Il figlio di Enrico VI, lo «stupor mundi» Federico II, per parte di madre nipote di Ruggero II, per parte di padre di Federico Barbarossa, crebbe nel Palazzo dei Normanni e come il nonno materno e il cugino Guglielmo II amò le scienze e le arti e si circondò di saggi islamici ed ebrei. Ma per quelle strane ironie di cui è piena la storia degli uomini, fu proprio lui a cacciare gli arabi dalla Sicilia, muovendo loro una guerra spietata e deportando i cavalieri saraceni superstiti a Lucera, nelle Puglie. I musulmani gli opposero una fiera resistenza, certo dovuta a motivazioni economiche e religiose ma anche all'attaccamento per un'isola che avevano continuato, anche sotto i re normanni, a considerare parte dell'Islam. Ai gesti quotidiani che avevano contribuito alla fertilità della terra e al fiorire dei commerci, si sostituì una nostalgia struggente, la stessa che il poeta siciliano Ibn Hamdìs aveva cantato cent'anni prima, quando all'arrivo dei normanni aveva lasciato l'isola.

«Ricordo la Sicilia, e il dolore ne suscita nell'anima il ricordo. / Un luogo di giovanili follie ora deserto, animato un dì dal fiore dei nobili ingegni. / Se son stato cacciato da un paradiso, come posso io darne notizia? / Se non fosse l'amarezza delle lacrime, le crederei i fiumi di quel paradiso»


 

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