Il leader della Germania Est, Erich Honecker, in carica dal
1971, si dimise il 18 ottobre. I suoi successori, spaventati dalle
proteste, cercarono di concedere qualcosa ai manifestanti nel tentativo
di mantenere in vita il regime. Il Politburo – così si chiamava il
gruppo dirigente della DDR – decise di organizzare una conferenza
stampa per annunciare una serie di nuove riforme e di aperture nei
confronti dell’occidente. Robert McCartney, allora corrispondente del Washington
Post, ha ricordato come, insieme ad altre decine di giornalisti,
quel giorno cercasse di tenere traccia sul suo taccuino di tutte le
piccole modifiche e aperture che il portavoce del governo, Günter
Schabowski, stava elencando. Lo stile della DDR era lento e pomposo, e
McCartney ricorda come tutti i presenti alla conferenza stampa fossero
annoiati. Nessuno pensava di essere a un passo da uno dei momenti più
importanti della storia del Novecento.
Improvvisamente, nel mezzo di uno di questi elenchi,
Schabowski fece una dichiarazione incredibile e inaspettata. Il
corrispondente dell’agenzia di stampa italiana ANSA, Riccardo
Ehrman, chiese a Schabowski se il governo non fosse pentito per una
serie di restrizioni ai viaggi verso alcuni paesi comunisti che poco
tempo prima il governo aveva imposto. Schabowski rispose che no, il
governo non era pentito. Poi, leggendo confusamente tra le sue carte,
aggiunse: «Ah…oggi abbiamo deciso su un nuovo regolamento che rende
possibile per ogni cittadino della Repubblica Democratica Tedesca
di…uscire attraverso i posti di confine della Repubblica Democratica
Tedesca». In altre parole, senza alcun preavviso e con molta
incertezza, il portavoce del governo tedesco sembrava stesse dicendo a
decine di giornalisti di tutto il mondo che il muro di Berlino era
caduto. Immediatamente Schabowski venne messo sotto pressione da tutti
i presenti. Il Wall Street Journal ha ricordato i quattro
giornalisti che furono al centro dei minuti successivi.
Il primo fu l’italiano Ehrman, che aveva fatto la prima
domanda a Schabowski. Il secondo fu Peter Brinkmann, un giornalista del
quotidiano tedesco Bild, che per i minuti successivi continuò
a gridare domande a Schabowski, contribuendo a tenerlo sotto pressione.
Il terzo fu Krzysztof Janowski di Voice of America, il
network radiotelevisivo pubblico americano. Janowski fece una domanda
che si sarebbe rivelata fondamentale nelle ore successive: chiese a
Schabowski se le nuove regole che rendevano possibili i viaggi tra est
ed ovest si applicassero anche a Berlino. Dovette ripeterla un paio di
volte prima che il sempre più confuso Schabowski rispondesse: «Sì,
sì…», mentre cercava di leggere le carte che aveva davanti. Il più
importante dei quattro giornalisti, però, fu un uomo di cui fino allo
scorso ottobre non si conosceva nemmeno l’identità: per 25 anni è stato
soltanto una voce nella registrazione della conferenza stampa (si
tratterebbe di un ex giornalista e ora uomo d’affari di nome Ralph T.
Niemeyer, che all’epoca aveva vent’anni).
Niemeyer fece a Schabowski una domanda
fondamentale: «Da quando queste nuove misure avranno effetto?».
Schabowski, sempre più confuso, tornò a leggere di nuovo le sue carte e
rispose: «Che io sappia...dovrebbero…dovrebbero avere effetto
immediatamente. Da ora». Quelle parole divennero i titoli dei
telegiornali della sera in tutta la Germania occidentale. In breve la
notizia si diffuse anche a est. Entro sera una folla gigantesca si era
radunata silenziosa e timorosa davanti ai checkpoint del muro di
Berlino. La domanda che circolava era se il Muro fosse finalmente
caduto.
Ma che cosa era accaduto con Schabowski? La leadership della
Germania Est, in realtà, non aveva nessuna intenzione di consentire il
libero passaggio verso la Germania Ovest e meno che mai di abbattere il
Muro. Durante una riunione che si era tenuta quello stesso pomeriggio
era stato deciso che sarebbe stato consentito il passaggio soltanto a
chi avesse ottenuto una serie di documenti (Schabowski tentò di
sottolinearlo durante la conferenza stampa, ma senza molta
convinzione). Questa decisione sarebbe dovuta entrare in vigore dalla
mattina del 10 novembre. In altre parole, per uscire da Berlino est i
tedeschi avrebbero dovuto aspettare la mattina del 10 novembre,
raggiungere un ufficio della polizia, ottenere i permessi di transito e
(se ci fossero riusciti) solo allora avrebbero potuto raggiungere i
varchi di frontiera. Schabowski però non aveva partecipato alla
riunione e tutto ciò che aveva per rispondere ai giornalisti erano
pochi fogli che contenevano soltanto l’incompleto comunicato stampa
ufficiale. I giornalisti non gli diedero il tempo di ragionare né di
allontanarsi per chiedere ulteriori chiarimenti ai suoi superiori.
Così, quando Schabowski disse che le nuove regole si applicavano sin da
subito, non ci fu nulla che poté trattenere i berlinesi dal raggiungere
il confine.
Il checkpoint
La sera del 9 novembre il tenente colonnello della guardia di
frontiera Harald Jäger stava mangiando in una mensa ufficiali davanti
alla televisione. Quando al notiziario sentì Schabowski contraddirsi,
annunciando prima che sarebbe stato possibile viaggiare verso ovest
dopo aver ottenuto appositi documenti e poi che sarebbe stato possibile
farlo sin da subito, il boccone gli andò di traverso. In fretta Jäger
raggiunse il suo posto di confine a Bornholmer Strasse. Lungo la strada
guardò preoccupato i piccoli capannelli di persone che intanto si
stavano formando e che si dirigevano verso il suo stesso posto di
confine. Jäger, che oggi ha 71 anni e ha raccontato la sua storia al
quotidiano britannico Independent, entrò nell’edificio
dove lo aspettavano i suoi uomini. Erano tutti armati di pistola e
c’erano fucili d’assalto pronti nell’armeria.
La folla non sembrava minacciosa. Qualcuna delle
persone presenti, più coraggiosa delle altre, si avvicinò al posto di
guardia e chiese se fosse possibile attraversare il confine. Jäger
chiamò i suoi superiori e chiese spiegazioni. Gli venne ordinato di
rimandare indietro chiunque non avesse i documenti di viaggio per poter
attraversare il confine. Alle 20, quando andarono in onda i
telegiornali della Germania Ovest (che si vedevano anche all’Est) con i
titoli tutti dedicati all’apertura dei confini, la folla davanti a
Bornholmer Strasse si fece sempre più grande. E sempre più rumorosa.
Alle 21 c’era così tanta gente che tra le guardie di frontiera cominciò
a diffondersi il panico. Jäger chiamò di nuovo i suoi superiori:
«Dobbiamo fare qualcosa!». Ora anche i suoi comandanti erano nel
panico. Nessuno sapeva cosa fare e dal governo non arrivavano né ordini
né istruzioni. In quel momento, nelle sale del Politburo, i leader
della Germania Est stavano discutendo su cosa fare. C’era un’unica
soluzione possibile: autorizzare la polizia a disperdere la folla, con
le armi se necessario. Ma nessuno dei presenti accettò la
responsabilità di dare l’ordine di aprire il fuoco. Jäger rimase senza
ordini a dover fronteggiare una folla che diveniva più grande e più
rumorosa ogni minuto. L’unica soluzione che gli venne in mente fu di
cercare di separare i più rumorosi e farli passare al di là del muro.
Ma quando i presenti capirono cosa stava succedendo, le grida
raddoppiarono e i berlinesi cominciarono ad avvicinarsi sempre di più
al posto di controllo. Alle 23.30 la folla era oramai incontrollabile e
Jäger prese l’unica decisione che a quel punto gli sembrava possibile.
Senza istruzioni dai suoi superiori, diede ordine ai suoi uomini di
aprire i varchi tra Berlino est e Berlino ovest.
Immediatamente una folla composta da decine di
migliaia di persone si riversò dall’altro lato, accolta dagli abitanti
di Berlino ovest che si erano radunati a partire dalle otto di sera in
attesa dell’arrivo dei loro vicini orientali. Jäger ha raccontato che i
primi istanti dopo l’apertura del confine per lui e per i suoi uomini
furono terribili. Era come se in quel preciso momento avessero
assistito alla rovina e alla caduta del loro mondo. Per i primi minuti
Jäger si sentì quasi paralizzato da un sentimento di umiliazione e di
sconfitta. Ma dopo mezz’ora – dopo aver visto gli abitanti di Berlino
ovest accogliere i suoi concittadini con bottiglie di champagne, fiori
e cartelloni di benvenuto, dopo averli visti salire e ballare sul muro,
dopo aver visto sconosciuti abbracciarsi, baciarsi e piangere di gioia
– anche Jäger e i suoi uomini divennero euforici. «La nostre lacrime di
frustrazione divennero lacrime di gioia», ha raccontato Jäger. In quel
momento, uno dei suoi uomini lo raggiunge: «E mi disse: “Harald, credo
che per la Germania est sia finita”. E improvvisamente mi resi conto
che sì, era finita».
da www.ilpost.it
La Caduta del Muro di Berlino è celebrata in
questi giorni a Berlino con un’iniziativa inaugurata venerdì sera: si
tratta di un’imponente installazione chiamata “I Confini della Luce”,
progettata in occasione dell’anniversario della Caduta del Muro di
Berlino. In pratica, una lunghissima fila composta da circa 8 mila
palloncini bianchi è stata sistemata nei principali quartieri e vie di
Berlino lungo il perimetro del Muro che ha diviso la città fino al 9
novembre 1989. I palloncini sono gonfiati con elio e illuminati
internamente da un LED, e agganciati in cima a un supporto: somigliano
a una specie di lampioni flessibili e resteranno illuminati fino a
domenica. Poi, domenica 9, giorno dell’anniversario della caduta del
Muro, saranno sganciati dal loro supporto e liberati in cielo. [...]